La Fata dei Sogni

Articolo trasferito dalla precedente versione del sito https://giardinodellefate.wordpress.com

Data di pubblicazione: 12 Settembre 2011 ©Giardino delle Fate

“Chiudi gli occhi, Durrikan, e sogna…”

Era seduto su un alto trono, uno scranno splendido scolpito in un blocco unico di granito, intarsiato con ori e pietre preziose. A Kadriya tutti lo conoscevano come lo Durrikan, titolo che si era conquistato col sangue e col valore in un centinaio di battaglie contro umani e nani. Aveva vissuto secoli, ed ora aveva ottenuto ciò che aveva sempre desiderato: il potere.

Elfo di alto lignaggio, era divenuto famoso per il suo temperamento sanguinario, grazie al quale aveva potuto condurre i propri eserciti alla vittoria mentre, sia gli umani che i nani, si erano ritirati nelle loro terre pianeggianti abbandonando le foreste degli Elfi, eppure… adesso era venuto il tempo della pace, e gran parte degli alti Elfi iniziavano a trovare intollerante il fatto che sul trono di Kadriya, sedesse un guerriero.

Sussurri sull’esistenza d’intrighi e piani per ucciderlo erano arrivati alle sue orecchie, e da alcune notti Durrikan faceva degli strani sogni, durante i quali lui sedeva su un trono di granito, provava ad alzarsi ma non ci riusciva ed iniziava ad urlare, mentre le sue carni si liquefacevano lasciando luccicare le ossa del suo scheletro, alla luce di insolite torce; e questo sogno non sembrava essere diverso dagli altri…

Rivoli di sudore freddo gli scendevano sulle tempie, solcavano le sue guance come lacrime. La sofferenza che provava quando la sua carne si scioglieva era terrificante, malgrado fosse solo un sogno, eppure doveva provare ad alzarsi, doveva…

Con le mani posate sugli splendidi braccioli, fece forza e si sollevò un poco. La testa iniziò a martellargli. Provò di nuovo ma una forza misteriosa lo spinse di nuovo seduto. Con un gemito colpì lo schienale e chiuse gli occhi, in attesa del martirio, ma non accadde nulla. Incredulo aprì lentamente gli occhi e lo vide…

Nell’aria davanti al trono, si era aperto uno squarcio nella trama del sogno, ed oltre i lembi frastagliati di materia onirica, Durrikan vide un bosco, il bosco di Kadriya, ed una fanciulla dai lunghi capelli che avanzava scostando i rami bassi nel sottobosco.

Durrikan riusciva a cogliere ogni particolare della fanciulla: i capelli di seta, la carnagione chiara quasi diafana, gli occhi verdi e colmi di paura, un leggero vestito lungo con l’orlo strappato dai rovi. Umana… La parola risuonò nella sua testa come una condanna e una condanna fu.

La stessa forza che lo aveva spinto seduto lo fece alzare in piedi. Tra le sue mani si solidificò una spada sulla cui lama, brillavano incise alcune lettere Elfiche che formavano la parola “Odio”. Durrikan saltò nello squarcio, brandì la spada in alto, la calò sulla fanciulla umana e… Era di nuovo seduto sul trono, impossibilitato a muoversi. Rivedeva ancora gli occhi della misteriosa fanciulla umana impauriti, imploranti.

Di nuovo si aprì lo squarcio, di nuovo lui si alzò con la spada in mano, saltò dentro, tentennò per un istante, incerto sul da farsi, poi calò la spada. Ancora sul trono.

La terza volta provò a resistere, a non calare la spada, ma essa pesava, pesava tantissimo, esigeva di essere calata, implacabile come… Lo capì solo la quarta volta, quando tentò di voltarsi per colpire il tronco di un albero invece della fanciulla: la spada era pesante, cieca ed implacabile come l’odio con cui era stata forgiata, il suo odio, l’odio del suo popolo verso gli altri popoli.

Cosa avevano fatto? Loro, gli Elfi, figli della Terra, protettori della Natura, avevano giurato di proteggere i boschi e le creature che essi ospitano, ma avevano dimenticato che anche uomini e nani erano creature della Terra, più giovani, certo, ma pur sempre figli della stessa Madre.

La quinta volta la spada non apparve. Durrikan entrò nello squarcio e si avvicinò con i palmi delle mani rivolti verso l’alto, in segno di pace. La fanciulla, spaventata, indietreggiò fino ad inciampare su una radice sporgente.

Durrikan le porse velocemente la mano per aiutarla a rialzarsi, ma lei rifiutò e gli disse: «So chi sei, Sterminatore di popoli. Sei lo Durrikan, alto Elfo di Kadriya, Uccisore di re e Protettore degli Elfi. Non osare toccarmi! Le tue mani sono lorde del sangue della mia gente.»

L’Elfo rimase in silenzio pensando “Come osa questa umana chiamarmi a quel modo?”, e la spada dell’odio si materializzò al suo fianco. Durrikan rabbrividì. Stava commettendo lo stesso errore. Finalmente capì.

Fu come se un velo cadesse dai suoi occhi. Ora riusciva a vedere oltre la paura che leggeva negli occhi della fanciulla, vedeva il dolore, la perdita, la sofferenza. Si era nutrito d’odio per anni, cieco a quanto accadeva attorno a lui. Non solo erano morti migliaia di umani e nani, ma anche numerosi Elfi, e forse era questo il motivo per cui ora gli alti Elfi lo volevano uccidere, per lavare via la sofferenza e purificarsi loro stessi dell’odio che per anni, avevano nutrito nei confronti di quei giovani popoli portandoli alla rovina grazie a lui.

Ma lui era ancora il Signore della spada. Raccolse l’arma da terra e si avvide che ora era leggera. La porse alla fanciulla dalla parte dell’elsa e la implorò: «Ti prego, dimmi il tuo nome e poi uccidimi. Ho tradito il mio giuramento da Elfo e solo adesso me ne rendo conto. Con me finirà tutto.»

La fanciulla si alzò, prese la spada e la gettò via, dentro un mucchio di felci che l’accolsero scuotendosi come sotto la sferza di un vento forte. «Il mio nome è Layla e non sono umana. Sono stata io a chiamarti in questo sogno. La mia razza è ben più antica della tua, e non tollera più l’odio che avete scatenato sulla Terra. Io non voglio ucciderti. L’odio genera odio, come tanti anelli di una catena che pesa e che porta a fondo, senza pietà, senza scampo. Ora ti sei reso conto che quel che avete fatto è sbagliato, avete ancora tanto da imparare gli uni dagli altri… Torna tra la tua gente e fa in maniera che comprendano. Io ti sarò vicina.»

La fanciulla si accostò e consegnò all’Elfo un bracciale d’argento a forma di tralcio d’edera. «Il patto con la Sacra Terra non è spezzato; voi siete ancora i Protettori e l’edera ne è il simbolo. Il bracciale servirà a ricordarvi che siete comunque legati alla Terra da più di un semplice patto, perché quanto vi lega è amore, e non dovrete mai più dimenticarlo. Ricorda, Durrikan, l’Odio appesantisce il cuore, solo il perdono, l’amore, rendono leggeri.» Ella sorrise e si tramutò in un vortice d’argento che lo travolse.

Durrikan si alzò di scatto dal letto, tirò via le coperte e corse alla finestra dove scostò le tende e guardò fuori. Il bosco era là che lo chiamava. Ormai vivevano in case come quelle degli umani, erano diventati tanto simili a loro e non se ne erano resi conto. Da quel momento le cose sarebbero cambiate: offerte di pace agli umani e ai nani, rimboschimenti, case sugli alberi, niente più spade né odio…

La sua mano toccò il bracciale d’argento stretto al braccio, il bracciale che gli aveva donato la fanciulla. Durrikan sorrise. Avrebbe onorato la promessa. La pace, ed un segreto…

“Chiudi gli occhi, Syeira, e sogna…”


«Cammina con me, ninfa dei boschi. Ti porterò in un luogo al di là del tempo, dove nulla ci toccherà. Segui con me il sentiero delle Fate. Non toccare nulla e nulla desidera, altrimenti il tuo cuore sarà loro prigioniero, per sempre…»

Il vento stormiva e Syeira seguì il suo sussurro, all’ombra delle querce millenarie, sotto l’intreccio dei loro rami e le trine pendenti dei rampicanti.

Muschio verde smeraldo copriva come morbidi festoni le rocce ai lati del sentiero; stentati fili d’erba facevano capolino tra i sassi e le ghiande secche sparse al suolo. Ogni tanto un raggio di sole riusciva a bucare il tetto di rami intrecciati ed arrivava fino a terra, rivelando la presenza di scintillanti particelle di polvere nell’aria. Semplice polvere…

«Polvere di Fata, Syeira.» Risolini tutto intorno, lieti e delicati come petali di rosa selvatica. Decine di testoline dalle orecchie a punta fecero capolino dal folto dei cespugli di more, da dietro le corolle delle primule, da sotto il cappello puntinato delle Amanita.

Tante piccole Fate mormorarono il loro richiamo: «Vieni, ninfa, siediti con noi e gusta i frutti della terra. Ribes rossi come il sangue di un uomo; lamponi succosi e dolci, come le labbra di un amante; funghi screziati d’oro; mandorle e nocciole…»

Il vento sussurrò di nuovo: «Non dare loro ascolto, Syeira, l’incanto è il loro passatempo preferito.»

A Syeira piaceva quella brezza gentile che, a tratti, le sfiorava con dolcezza i lunghi capelli e la incitava a proseguire con tanta premura. «Dove mi stai portando, vento dell’est?»

«Ti porto dove non esiste tempo, dove non ha significato lo spazio. Ti conduco al cospetto di un essere antico, di una creatura che hai già incontrato nei tuoi sogni. Ora sei nel suo sogno, e tra poco sarai al suo cospetto.» I risolini birichini continuavano senza sosta e l’accompagnavano nel suo cammino. «Dimmi, vento dell’est, che aspetto ha la creatura di cui parli?»

Il vento non rispose subito, poi disse: «Ci fu un tempo in cui aveva l’aspetto del Tutto. Il suo viso era un labirinto di foglie, fiori e animali, alberi ed esseri viventi d’ogni tipo. Molte erano le creature che compivano pellegrinaggi per giungere al suo cospetto, che chiedevano di essere risanate dalla sua linfa vitale, che ascoltavano con reverenza le sue parole. Poi, col passare delle ere, il ricordo della sua esistenza fu dimenticato. Languì nella solitudine, finché non giunse il giorno in cui tu esprimesti il desiderio di incontrarla; ma ora basta, dolce ninfa. Vedrai con i tuoi stessi occhi, siamo arrivati.»

Le risa delle Fate smisero all’unisono, e Syeira lasciò il sentiero inoltrandosi in una vasta radura al cui centro si elevava imponente, un vecchio salice. La chioma d’argento dell’albero antico sfiorava le acque limpide di un rivo che scorreva tra le sue possenti radici. Il gorgoglio dell’acqua giungeva come un canto cristallino alle orecchie della ninfa. Syeira si avvicinò con riverenza al vecchio salice, fino a toccarne la corteccia.

«Benvenuta nel mio regno, Syeira.» Una voce dolce risuonò nell’aria accompagnata dallo stormire delle foglie del salice. Quel suono evocava nella mente di Syeira immagini di un tempo in cui la sua gente trascorreva intere giornate sul bordo di polle limpide, in cui immergevano il muso candidi unicorni per cercare sollievo dalla calura estiva.

In quel tempo le Fate irretivano per amore ogni uomo che si lasciava incantare dalla loro magia, ed i bambini credevano negli esseri fatati che si nascondevano nel cuore del bosco, negli anfratti e nelle grotte. Alle immagini che scorrevano nella mente della ninfa, si sovrappose l’immagine reale di una nebbia verde che usciva dal tronco del salice e si condensava in un corpo dal sesso indefinito, e dalla voce altrettanto asessuata ma gradevolissima.

Lo spirito uscito dal salice parlò: «Ricordo, molto tempo fa, quando la Terra era giovane e tutti gli esseri viventi l’abitavano in pace, i prati e i boschi, le rocce e le fonti, intatti. L’aria profumava del tempo delle stagioni, di terra bagnata dopo la pioggia autunnale, viole ed acacie a primavera. Dolci fragranze che allietavano giorni di gioia trascorsi assieme alle piccole Fate. Tra i tronchi del bosco risuonava solo il cinguettio degli uccelli, e nei campi color dello smeraldo sbocciavano botton d’oro e gigli aranciati. L’acqua delle polle era magica e voi ninfe vi specchiavate nel vostro riflesso, e le Fate vi leggevano il futuro. Nuvole di panna solcavano il cielo e l’azzurro del giorno sfumava nel blu intenso della notte, trapunto di stelle lucenti. Corolle di fiori come giaciglio, danze e canti fino all’alba. Il Creato era sacro, ogni forma di vita, la Terra stessa… ed offrivamo alla Madre delle Madri ghirlande di corolle intrecciate con le nostre mani, e il nostro canto era la preghiera di ringraziamento a Lei. Poi arrivarono gli uomini… tagliarono gli alberi, costruirono i loro villaggi. Fumi velenosi oscurarono i cieli, l’acqua dei ruscelli cambiò colore. I campi divennero marroni, sarchiata e ferita la Terra; i nostri canti non salirono più al cielo, dove le stelle tremolarono in un’aria malsana. Le polle non rifletterono più il futuro perché non c’era più futuro per noi… Oh, Madre, cosa ti hanno fatto? Hanno sconsacrato i tuoi prati, i tuoi boschi. Ora ci nascondiamo nel buio delle foreste. Ricordo… ma il ricordo è sfumato… ora vivo il presente e tremo, per chi non vide mai quei cieli, per chi non sentì mai quelle fragranze. Non vedo alcun futuro nelle polle, forse non c’è più un futuro… ma tu, creatura spensierata, hai un grande potere dentro di te. Io ti dono questa tiara, simbolo della benedizione della Madre Terra. Torna tra i tuoi simili, insegna loro a curare le ferite degli uomini, non solo quelle del corpo. Insegna agli uomini a tornare bambini, a vedere oltre i fumi della loro follia. Se al mondo esistono ancora creature pure come te, allora, forse, un futuro ancora esiste. Ora va, Syeira, e porta con te la speranza.»

La creatura le sorrise; un sorriso denso di sofferenza e d’amore. Il vento dell’est tornò e l’avvolse in spire d’argento, e l’ultimo suono che Syeira udì fu il riso gioioso delle piccole Fate.

Quando Syeira si svegliò si trovò circondata dalle ninfe sue sorelle. «Cosa avete da guardare?» chiese loro sorridendo.

Thyra, la maggiore, le indicò la testa e Syeira portò rapida una mano sul capo. Tra i capelli era infilata una tiara d’argento, ed un fulgido smeraldo era incastonato proprio al centro di quello splendore. Un pegno, ed un segreto…

“Chiudi gli occhi, Khalida, e sogna…”


«Ehi, sveglia!» Sussurri attorno a lei. Khalida si voltò su un fianco, lievemente infastidita, in bilico tra la veglia e il sonno.

«Khalida, sveglia!» I sussurri continuavano.

«Forse ha il sonno pesante» disse una vocina diversa dalla prima.

«No, è sveglia, ma non vuole aprire gli occhi.»

«L’avevo detto io di non disturbarla durante il sonno!» sentenziò una terza vocina.

«Oh, smettila! Eravamo tutte d’accordo, no? Lei ci ha detto di prenderla e portarla al suo cospetto, ormai siamo qui e dobbiamo svegliarla, so anche come.» Fu allora che Khalida sentì un gran dolore al lobo dell’orecchio, si tirò su di scatto, in mezzo ad un frullio di ali e stoffe leggere, finché nel trambusto non le si parò davanti agli occhi un esserino alto una ventina di centimetri, librato a mezz’aria, con le piccole mani piantate sui fianchi.

Mentre Khalida, ancora inebetita dal sonno, decideva se mettersi ad urlare o tornare a dormire classificando l’accaduto come un sogno ad occhi aperti, l’esserino le parlò: «Era ora, umana! Io sono Nabilla, al servizio di Isobel, la Fata dei Sogni, e queste sono le mie due compagne, Hayal e Shantay.» Dai lati del letto altre due minuscole creature simili alla prima fecero capolino, una sorridendo e l’altra sbuffando.

Per tutta risposta Khalida si tirò fin sul naso le coperte, e con una mano tentò di cacciare le apparizioni. Le proteste delle tre creature non si fecero attendere.

«No, così ci colpirai! Non dirmi che non volevi incontrarci!»

«La nostra Signora ci ha detto che l’hai chiamata!»

«E smettila di agitare quella mano! Umpf, umani…»

Poi Khalida sembrò calmarsi e rendersi conto di quel che stava accadendo. «Ma… ma… voi siete Fate!» balbettò.

«Ma va’? Non l’avrei mai detto…»

«Smettila di fare la polemica, Hayal.» Nabilla si era avvicinata alla fanciulla per tentare di spiegarle con voce dolce la loro presenza. «Non far caso ad Hayal, lei è fatta così, non le sta mai bene nulla. Ti chiedo scusa per il modo in cui ti abbiamo svegliata, ma in fondo sei stata tu a chiamare Isobel.»

«Io? Non ho mai…» Shantay non le lasciò finire la frase, le volò vicina e le carezzò i capelli con la sua minuscola mano.

«Isobel legge nei sogni degli Uomini. Sa che il tuo sogno più grande è quello di donare sogni e felicità agli altri, e quindi ha deciso di incontrarti per realizzare il tuo desiderio… ha risposto alla tua chiamata.»

Nel silenzio che seguì, Khalida assimilò la notizia e, senza ancora credere del tutto a ciò che stava accadendo, buttò via le coperte e, al colmo della felicità, tentò di abbracciare la prima Fata che riuscì ad agguantare. Shantay e Nabilla la evitarono per un soffio, mentre Hayal si ritrovò stretta tra le mani della fanciulla, che la ricoprì di baci.

«No, no, noooooooo, lasciamiiiiiiiiiiii!» Le altre risero di cuore, poi Nabilla, che sembrava essere la capogruppo, esortò tutte ad uscire dalla finestra.

Khalida la guardò perplessa. «Io non ho le ali come voi, non potrò seguirvi!» Le Fate sghignazzarono.

«Sei sicura?» Shantay alzò le mani, ed una luce azzurra uscì dalla punta delle dita fino ad avvolgere Khalida. Un paio di splendide ali spuntavano ora dalle spalle dell’umana, che le rimirò meravigliata nello specchio appeso ad una parete della sua camera.

«Che belle! Ma come avete fatto?»

«Nei sogni tutto è possibile.»

«Questo è un sogno? Allora posso volare!» E senza pensarci due volte, si lanciò dalla finestra per precipitare di un paio di piani. Per fortuna il palazzo era alto e le tre fatine la afferrarono in tempo prima che raggiungesse il suolo.

«Avere le ali non significa saper volare; devi imparare ad usarle, guarda.» Shantay agitò le ali mostrando a Khalida come fare, quindi Nabilla le esortò ad andare: «Su, il tempo passa e noi dobbiamo condurti al cospetto di Isobel…»

«…nel “Luogo dove tutti i sogni si avverano”» finì la frase per lei Hayal. Volarono al di sopra dei tetti della città, immerse in quello che sembrava un perenne crepuscolo dorato. Ogni tanto si affacciavano alle finestre delle case, a guardare gli abitanti che vi dormivano. In una stanza videro un bambino piccolissimo che piangeva.

«Gli è caduto l’orsacchiotto.»

«Khalida, entra e raccoglilo.»

«Posso?»

«Devi!» sbuffò Hayal. L’umana entrò e si mosse in punta di piedi verso il lettino del bimbo, raccolse l’orsacchiotto e lo mise tra le mani del piccolo, che subito smise di piangere e riprese, felice, il sonno interrotto.

Khalida raggiunse le altre soddisfatta. «Avete visto? Non piange più!»

Le Fate annuirono ma non dissero nulla. Continuarono il loro volo; ogni tanto entravano nelle case per compiere piccole azioni: tirare su una coperta caduta a terra, trovare un oggetto perso e posizionarlo bene in vista, donare un sogno, e spesso chiedevano a Khalida di agire, finché l’umana chiese: «Come fate a sapere cosa dovete fare ogni volta? In fondo non conoscete le persone che aiutate.»

«No, ma osserviamo molto. Ovunque andiamo, ovunque ci troviamo, osserviamo chi ci circonda, cerchiamo di capire chi abbiamo di fronte, di leggere nei loro cuori, di indovinare i loro bisogni.»

«Non sempre è facile…» intervenne Shantay «…spesso sbagliamo nel capire le persone, gli umani sono così complicati…»

«…e molte volte riceviamo in cambio solo insulti» concluse con amarezza Hayal. «Però è bello e divertente cercare di fare del proprio meglio per dare un po’ di felicità agli altri.»

All’improvviso un urlo proveniente da una casa vicina le fece sobbalzare. Volarono veloci e si affacciarono. Una donna era caduta dal letto ed ora lottava imprigionata nelle lenzuola.

Senza indugio Khalida, armata di sorriso e buona volontà, entrò ed aiutò la donna a districarsi dalle coperte. Inaspettatamente ricevé in cambio un pugno sul naso e vari irripetibili insulti. Quando tornò dalle fatine due grosse lacrime le solcavano il viso. «Volevo… volevo solo aiutarla!»

«Povera Khalida! Non è raro incontrare persone che non vogliono essere aiutate, o persone che non sanno riconoscere un aiuto offerto loro.»

«In questi casi se sei veramente determinata a far sorridere tipi del genere, devi avere una ferrea volontà per continuare…»

«…oppure lasciarli perdere fin dall’inizio per evitare che trascinino anche te nel loro abisso di ignoranza… come sta succedendo ora a te… no, Khalida!» La fanciulla stava sempre più velocemente perdendo quota, e rischiava di sfracellarsi al suolo. Le Fate volarono leste in suo aiuto ed ancora una volta la sollevarono in aria.

«Khalida, se hai il cuore pesante non puoi volare.»

«Basta poco per essere trascinati giù, una parola, un gesto…»

«…uno sguardo, un’offesa.»

Khalida si asciugò le lacrime. «Che fine avrei fatto se non ci foste state voi?»

«Forse le tue ali si sarebbero spezzate…» rispose Nabilla «…e non avresti più potuto volare.»

«Se hai qualcuno vicino a te, che ti tende una mano ogni volta che rischi di cadere…»

«…sarà più facile cancellare le lacrime e ripartire con nuovo entusiasmo. Ma se nessuno è vicino a te…»

«…e capita, oh se capita!» sbuffò ancora una volta Hayal. «Allora dovrai avere la forza di riprendere da sola il volo.»

«Qual è il segreto per riprendere il volo?»

Shantay le volò vicino. «Isobel lo conosce, ecco siamo arrivate! Ora la incontrerai.»

Quando Khalida entrò nella camera e si rese conto che era la “sua” camera, spalancò gli occhi. «Ma mi avevate detto che saremmo andate nel posto dove nascono tutti i sogni, invece siamo tornate indietro!»

«Ebbene, Khalida, non essere sorpresa.» Le tre fatine s’inchinarono ad una splendida apparizione: una Fata altissima, avvolta in una luce lilla, che sedeva sul letto di Khalida.

«Questo è il posto da cui nascono tutti i sogni, i tuoi sogni. Vuoi conoscere qual è il segreto per volare? È lo stesso segreto per dare la felicità e donare i sogni agli altri: devi essere tu per prima felice. Non sto parlando di una semplice effimera felicità, ma di gioia. Nei giorni che verranno sarai spesso felice, o triste, euforica o abbattuta, incontrerai persone di ogni tipo, ti troverai in compagnia o completamente sola. Aiuterai e sarai aiutata, cadrai e ti rialzerai mille volte. Sempre sarà difficile per te parlare agli altri di gioia e di sogni, dovrai lottare per difendere ciò che sei, ciò in cui credi, non perché tu sia superiore agli altri, ma perché tu sei speciale come gli altri, ed è questa certezza che ti terrà in volo.»

Isobel si alzò dal letto e si avvicinò ad una tremante Khalida. «Io ti dono questo sacchetto, è polvere fatata.» La Fata lasciò cadere un piccolo sacchetto nelle mani di Khalida. «Ogni volta che vorrai donare un sogno stringilo forte e pensa a questo momento, la gioia invaderà il tuo cuore e ti renderà leggera. Addio, Khalida, o forse solo arrivederci…»

Un vortice d’argento partì dalle mani di Isobel e travolse tutte loro, scuotendole come fuscelli in una tempesta. Khalida fece capolino da sotto le coperte e subito un raggio di sole la investì.

«Oggi sarà una bella giornata!» si disse allegramente. Oltretutto il sogno di quella notte l’aveva lasciata di buonumore, uno strano sogno… “Certo che la fantasia gioca strani scherzi!” Scansò le coperte di lato e si accinse ad alzarsi, quando un luccichio sul cuscino attirò la sua attenzione.

Allungò la mano e si trovò a stringere un piccolo sacchetto dalla foggia strana. Lo aprì e un po’ di polvere, che sembrava ombretto, uscì dall’apertura. Subito sentì il cuore riempirsi di una gioia così grande, che si sarebbe messa a volare… a volare… Solo allora si rese conto che quello era molto simile al sacchetto di polvere fatata del sogno.

Non poté fare a meno di guardarsi allo specchio, lì dove nel sogno le erano spuntate le ali, e al loro posto scorse il riflesso della finestra, dalla quale poteva vedere una parte della sua città. Rise di cuore. Una promessa di gioia, ed un sogno…

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