La nascita dell’Antica Lot

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Data di pubblicazione: 14 Settembre 2011 ©Giardino delle Fate

CAPITOLO VI. La Grande Guerra

Per quanto fosse doloroso ammetterlo, non si poteva non tener conto dell’innegabile realtà dei fatti: l’esercito delle forze del Male, dal punto di vista numerico, era di gran lunga superiore a quello lottiano.

Così una notte, probabilmente una delle più lunghe notti dalla fondazione di Lot, il Granduca convocò in gran segreto una riunione con le più alte cariche militari. Alla flebile luce delle poche lanterne, i volti dei presenti apparivano segnati dalla preoccupazione, mentre rivoli di sudore scendevano lentamente tra le rughe, segni inequivocabili che la vita aveva lasciato come memoria del proprio passaggio.

Dopo una breve spiegazione riguardo alle recenti scoperte degli Esploratori Predator e Sara sull’ubicazione e sulla disposizione degli accampamenti del nemico, gli Strateghi di Lot, con il tono solenne di chi sa di non avere altra scelta, alla fine sentenziarono che la guerra avrebbe dovuto compiersi proprio sui Monti delle Nebbie: era questa l’unica possibile speranza di vittoria, perché se il nemico avesse superato indisturbato questa naturale barriera costituita dalle montagne, allora avrebbe potuto raggiungere facilmente le pianure e, in poco tempo, conquistare tutta la zona, distruggendo, nel nome del Dio Simeht, tutto ciò che era stato con tanta fatica costruito e realizzato.

Presa quest’ardua decisione, il Granduca dispose un ultimo studio per valutare la potenza ed i punti deboli dell’avversario. Il Male disponeva di un numero veramente inimmaginabile di Goblin ed Orchi, creature partorite da riti oscuri e maledetti, ma dotati di particolari risorse che li rendevano avversari più che temibili: una forza ed una resistenza fuori del comune e l’assoluta mancanza di una benché minima parvenza di morale, peculiarità che consentiva loro di uccidere semplicemente per il gusto di farlo, indipendentemente dalla motivazione.

Questa era la ragione per cui le immonde creature incutevano negli animi dei membri dell’Esercito lottiano non solo timore, per una quanto mai possibile sconfitta, ma anche odio e disprezzo, per essere il simbolo della distruzione guidata dal potente Honorius.

Tuttavia, malgrado le preoccupanti apparenze, vi era una componente che non andava per nulla sottovalutata nella programmazione dell’evento bellico: l’esercito nemico non era affatto organizzato, sembrava che ognuno di loro combattesse per proprio conto, senza avere alle spalle una vera e propria tattica militare che ne guidasse le redini.

Durante le numerose battaglie passate, infatti, non si era mai visto schierato un fronte nemico compatto e ben organizzato, ci si era invece sempre trovati in mezzo ad iniziative individuali di piccoli gruppi, che erano state facilmente fermate dai Soldati dell’Esercito Ducale. La guerra ebbe inesorabilmente inizio, ed i Monti Nebbiosi divennero il lugubre scenario di lunghi giorni d’estenuanti battaglie.

Per primi giunsero i Goblin che, urlando ed inveendo contro tutto ciò che incontravano, seminavano devastazione attaccando in maniera completamente irrazionale; questo rese, tuttavia, il compito dei nostri valorosi Soldati relativamente semplice e, nel giro di poco tempo, quelli di loro che non vennero sterminati, si diedero codardamente alla fuga.

Poi vennero gli Orchi e la questione si fece più complessa. Le fragili armi dei nostri combattenti erano totalmente inadatte ed insufficienti contro queste creature dotate di forza sovrannaturale negli scontri corpo a corpo; fortunatamente però gli orribili esseri si rivelarono goffi e per nulla fulminei nei loro movimenti, e questo facilitò non poco l’operato degli Arcieri che, da lontano, riuscirono a contrastare il loro giungere senza neppure arrivare allo scontro diretto con essi.

Capitava inoltre sovente che Goblin ed Orchi cominciassero a scontrarsi anche tra loro, sia per le difficoltà di comunicazione tra esseri aventi linguaggi differenti, ma soprattutto per l’odio ed il rancore che esisteva tra queste due razze da tempo immemorabile. Sembrava quindi che le sorti della battaglia volgessero a favore di Lot e di tutti coloro che con tanta dedizione combattevano per essa.

Purtroppo, però, il Male non si limitò a questo; una nuova sciagura si apprestava ad abbattersi sui poveri ed ormai stremati Cittadini.

Un giorno accadde che, nella Piazza Centrale, tra il consueto vociare delle persone affaccendate nelle quotidiane mansioni, apparve dal nulla una creatura completamente avvolta da un lungo mantello nero; della sua figura si poteva vedere ben poco, perché il lungo manto la rivestiva quasi completamente, tuttavia s’intuiva che potesse essere di razza umanoide, nonostante lo sguardo che d’Umano non aveva alcunché.

Dal nero cappuccio brillavano due occhi rosso vermiglio, nei quali si poteva leggere a chiare ed evidenti lettere un odio profondo per tutto ciò su cui si posavano, mentre le mani ossute reggevano un bastone nodoso che solo in apparenza sembrava essere una sorta di sostegno, celando invece chissà quali poteri.

Costui si presentò come il braccio destro di Honorius e, con un agghiacciante tono di morte, sentenziò sibilando queste dure parole: «Tremate comuni mortali, tra breve scenderà tra voi come un falco sulla preda Honorius dalle montagne, porterà con sé morte e malattie. Ciò che da molto tempo cresce sarà sradicato, la fiducia diverrà menzogna e Lot brucerà nelle sue stesse ceneri.»

Non appena finì l’ultima parola scomparve allo stesso modo in cui era venuto. Di lì a qualche giorno la tremenda profezia si avverò ed un nuovo male cominciò a colpire tutti i Cittadini, un male devastante conosciuto col nome di Peste.

Ben presto la maggior parte degli abitanti si ammalò ed i Sacerdoti di Themis, devoti custodi del Tempio della Dea, cercarono di trovare un modo per poter debellare questo nuovo flagello che si accaniva sui poveri affamati lottiani, mietendo vittime in numero sempre più ingente.

Dopo innumerevoli tentativi andati a cattivo fine, finalmente, grazie all’ausilio di tutte le Gilde che si erano adoperate sino allo stremo delle loro energie nella ricerca di una soluzione a questo problema, la cura fu trovata ed il suo ingrediente fondamentale era la Spezia, una pianta che cresceva solo in alcune isole al largo di Lot, isole peraltro raggiungibili solo attraverso una lunga e pericolosa navigazione. Fu questo il motivo che portò alla costituzione del Corpo della Marina di Lot, che aveva come scopo prioritario quello di recuperare la Spezia necessaria alla preparazione del rimedio contro la Peste.

In un momento di tale dolore per tutta la popolazione non mancarono, tuttavia, atti di grande generosità anche da parte della Nobiltà: la Principessa Doralia, infatti, dimostrando un animo generoso e sensibile al bene del suo popolo, donò lo spazio del suo Castello per l’istituzione del Lazzaretto; in questo modo si poterono circoscrivere entro un perimetro ben delimitato tutte le persone colpite dalla piaga, limitando il dilagare a dismisura della pestilenza in tutta la città.

Le persone ricoverate al Lazzaretto erano assistite dai Monatti e dai Druidi che, con la loro scienza, pian piano riuscirono a trovare un rimedio per la malattia, debellandola. Il nobile gesto della Principessa Doralia e la dedizione alla scienza medica dei Druidi permisero a molti dei Cittadini, che ancora oggi girano per la città, di ricordare di avere visto la Prima Guerra e di fornire un’attendibile testimonianza ai posteri, permettendoci di scrivere anche questa pagina della Storia.

Quei giorni, dunque, erano caratterizzati da due accadimenti che seguivano il loro corso indipendentemente uno dall’altro, ma con analoghe connotazioni: da un lato la battaglia sui Monti che continuava inesorabilmente il suo svolgersi, dall’altro l’evolversi della malattia all’interno delle mura del Granducato. Entrambi i fatti portavano allo stremo i Cittadini lottiani, stanchi, feriti, poveri ed esausti da questi attacchi congiunti dall’esterno e dall’interno.

Sul fronte, frattanto, la situazione stava prendendo una piega che sembrava volgere a favore del nostro Esercito Ducale, la gran parte delle forze alleate del malvagio Honorius era ormai in rotta, ma chi avrebbe costituito il vero pericolo doveva, invero, ancora entrare in scena: i Cavalieri di Honorius. Costoro, allenati alle arti e alle strategie della guerra, erano in numero minore, ma valevano molto più dei precedenti avversari.

Abili conoscitori della battaglia e del combattimento erano vere e proprie macchine da guerra addestrate, dallo stesso malvagio Honorius, ad ogni situazione di pericolo e genere di difficoltà.

I graduati delle nostre schiere erano troppo pochi per combattere apertamente contro questi Cavalieri, ed i semplici Soldati non avevano possibilità alcuna di contrastare questi incredibili combattenti, istruiti alla perfezione e dotati di una crudeltà pari solo alla loro perfidia. La differenza ora non era più quantitativa ma qualitativa: i poveri Soldati, che fino a poco tempo prima erano stati tranquilli Cittadini, commercianti e coltivatori della terra, non potevano certo affrontare ad armi pari il corpo speciale del Male.

I risultati furono presto evidenti e con conseguenze davvero drammatiche: l’Esercito lottiano cominciò lentamente ad arretrare sparpagliandosi tra i Monti, facendo in modo che il nemico potesse avanzare facilmente fino ad avvicinarsi paurosamente alla città.

I messaggeri portavano continuamente notizie poco rassicuranti ai Capitani dell’Esercito che, dal Comando generale, dirigevano le operazioni di difesa. Le sorti della battaglia ora erano decisamente a sfavore del Granducato, e fu così che la Somma Sacerdotessa Urania radunò in preghiera molti fedeli per chiedere aiuto alla Dea Themis, ormai l’unica che potesse dare una nuova speranza alla città.

La Dea, nella sua immensa magnanimità, accorse in aiuto dei lottiani. Parlò per bocca della Sacerdotessa ed affermò che per affrontare i Cavalieri di Honorius non sarebbe bastata la forza fisica, dato che essi avevano la possibilità di compiere attacchi mentali ed i nostri Soldati non erano preparati a questo genere d’offensiva. Per tali motivi, dunque, un’altra Gilda venne messa all’opera per cercare un possibile rimedio alla scarsa capacità di resistere agli attacchi mentali dei Cavalieri di Honorius.

Gli Incantatori di Corte si diedero alla ricerca e alla sperimentazione, al fine di preparare pozioni magiche in grado di aumentare la resistenza mentale dei Soldati. A quel punto i nostri combattenti, rinvigoriti da nuove speranze, partirono all’attacco dei Cavalieri di Honorius: non uno dei Soldati lottiani si tirò indietro dalla pugna, e non uno di loro cadde in quello scontro. Fu l’esempio concreto che l’amore per la causa della patria e per la propria città non teme nulla.

Nonostante la battaglia lunga e difficile per i poveri militari ormai portati allo stremo delle forze, al calar del sole si poté gioire nel vedere che gli ultimi raggi della sfera celeste splendevano sulle armature dei Soldati vincenti, stanchi dalle grandi prove sopportate, ma finalmente vincitori. L’Esercito rientrò vittorioso in città fra gli applausi e gli abbracci delle donne che fino al giorno prima, avevano sognato la tanto agognata vittoria. Ora il sogno, era divenuto realtà.

Data la lunghezza dell’articolo, il post è stato diviso in più pagine:

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