La nascita dell’Antica Lot

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Data di pubblicazione: 14 Settembre 2011 ©Giardino delle Fate

CAPITOLO IX. La Scomparsa del Mare

Nella Vecchia Lot le giornate trascorrevano inesorabilmente, una dopo l’altra. Sui Monti delle Nebbie si combatteva senza sosta, contro orde sanguinarie di Goblin ed Orchi che si riversavano, sempre più numerose, quasi non avessero mai fine. Per quanti nemici si sterminassero, altrettanti ne giungevano, con un costante ricambio che lasciava i Soldati lottiani sempre più spossati e senza forze.

Poi, un giorno, la calata dai Monti s’interruppe, senza una particolare spiegazione apparente. Ci s’illuse di essere finalmente riusciti a sconfiggere Honorius: la popolazione gioiva e la vita sorrideva a coloro che, instancabilmente, si adoperavano per lo sviluppo economico e sociale della città.

Non passò, tuttavia, molto tempo prima che Lot si trovasse a dover affrontare un nuovo devastante flagello. Horren comparve fugacemente ai lottiani, preannunciando la venuta del Male ed il trionfo di Honorius tramite una nuova pestilenza; di lì a qualche giorno la tremenda profezia si avverò ed un male terribile, noto col nome di Peste, si abbatté sui Cittadini.

Le misure adottate per arginare quest’epidemia che non lasciava scampo, furono molteplici: l’istituzione del Lazzaretto, un costante sforzo da parte di tutte le Gilde per la creazione di un medicamento efficace, l’impiego della Marina Ducale per la ricerca della preziosa Spezia, ingrediente indispensabile nella composizione dell’unico rimedio risultato valido nella cura della malattia, ma nulla era stato lasciato al caso nell’oscuro disegno di Honorius.

Egli, infatti, aveva trasferito le sue truppe proprio nelle isole in cui la Spezia cresceva più abbondante e, così, le spedizioni della Marina, effettuate all’unico scopo di trovare la preziosa erba, si trovarono improvvisamente a dover far fronte a scontri e combattimenti contro nemici per i quali non erano stati addestrati.

Quando ciò accadeva, in molti casi gli equipaggi venivano sterminati, i carichi sequestrati, le navi bruciate e a Lot non si riusciva più ad avere alcuna notizia dei propri cari partiti; a questo si aggiungevano le morti sempre più numerose a causa della Peste, la popolazione decimata era in preda alla disperazione, mentre il dubbio su una reale possibilità di ripresa s’insinuava negli animi, come un potente veleno che, risalendo lungo le arterie, giunge sino al cuore.

Sembrava che nessuno avesse più la voglia di vivere, perduto tra i ricordi e la rassegnazione, disperato per la perdita dei propri cari, disilluso di potere mai liberarsi dell’incubo di Honorius e dei suoi piani malvagi.

Così, come altre volte in cui lo sconforto aveva assalito la popolazione, la Somma Sacerdotessa decise di rivolgersi a Themis; con passo deciso e la risolutezza di chi non ha altra scelta, Urania scese in mezzo ai suoi concittadini, chiedendo la parola. I Cittadini silenziosamente si riunirono intorno a lei, più per rispetto alla sua araldica che non per convinzione, ma si misero in ascolto.

Difficile descrivere con le parole i sentimenti che il suo discorso alla popolazione suscitò negli animi di tutti i presenti. La sua voce ferma ma, al contempo, rotta dall’emozione, s’insinuò nelle menti di ciascuno, come la dolce melodia di un flauto che cattura l’attenzione piano piano, rapendo gli ascoltatori dai propri cupi pensieri, fino a farli partecipare completamente a ciò che stava accadendo.

La Somma Sacerdotessa spiegò che proprio nei momenti bui si doveva rafforzare la propria fede e, per questo motivo, era necessario organizzare una veglia di preghiera alla Dea Themis, affinché infondesse nei loro cuori una rinnovata speranza per ricominciare. Al termine del suo discorso i Cittadini gridarono festosi; Urania era riuscita nel proprio intento e, in men che non si dica, venne predisposta la veglia per la Dea, che si sarebbe tenuta nella pubblica piazza.

E fu così che tutti coloro che ne avevano la possibilità si riunirono in quel luogo pubblico che li rappresentava, nessuna differenza di ceto, né di possedimenti poteva contraddistinguerli: i Nobili erano accanto ai semplici Cittadini, i Soldati si stringevano ai contadini, i bambini tra le braccia delle Guardie… tutti erano mossi da un puro spirito di fratellanza ed amore.

Cominciarono gli inni e le preghiere, alcuni accompagnavano le orazioni con rudimentali strumenti e, alla fine, sembrava di ascoltare un canto, un canto che era cominciato come sfogo alla disperazione, ma che, in breve tempo, assunse toni gioiosi in cui si ringraziava la Dea, se non altro, d’essere ancora lì per poter cantare. Questa irreale musica che scaturiva dai cuori, non tardò a giungere sino a Themis che, nella sua infinita benevolenza, si predispose ad ascoltare i suoi figli, la Dea comprese le paure di chi la stava invocando ed il terrore che li attanagliava, per le sempre più dure prove cui dovevano far fronte. Decise di aiutarli.

Così Themis guardò Lot e oltre le sue mura, vide i suoi figli dilaniati nelle carni dalla malattia, ne vide altri morire sulle isole con l’unico rimpianto di non poter aiutare i propri concittadini ed, infine, vide che numerosi nuovi eserciti delle forze del Male stavano giungendo da Est, per sferrare un nuovo attacco ai suoi figli, già così provati nel corpo e nello spirito.

Per un istante ebbe una visione del futuro e ciò che vide la straziò: centinaia d’Orchi e Goblin sarebbero giunti, la loro furia si sarebbe abbattuta inesorabile come una mannaia su Lot, approfittando delle disperate condizioni in cui si ritrovavano i Cittadini a causa della piaga, e nessuno sarebbe sopravvissuto.

Vide cadaveri impalati nella pubblica piazza a monito di chi aveva osato opporsi alle forze oscure, vide teste mozzate rotolare sul selciato, prese a calci con disprezzo dagli assalitori ed, infine, vide Honorius inneggiare a Shierak e a suo padre Simeht, felice di avere soggiogato anche questa città al volere del Male. Fu troppo…

Calde lacrime cominciarono a sgorgare copiosamente dagli occhi pieni di luce di Themis, mentre Ella osservava il destino dei suoi amati figli; la sofferenza della Dea era destinata a sconvolgere definitivamente l’ordine della Natura nelle terre di Extremelot. Le lacrime, per volere del Fato, caddero nella zona in cui era situato il Mare di Lot ed il loro impatto con le acque marine fu devastante. In pochi attimi si scatenò un maremoto pari, per potenza distruttiva, forse solo a quelli verificatisi durante la Genesi. Più gli occhi della Dea piangevano, più le onde s’increspavano, aumentando il loro dislivello fino a diventare di dimensioni inimmaginabili; dal cielo si abbattevano lampi, fulmini e saette, come sempre accade durante uno di questi fenomeni naturali, e le onde continuavano a crescere al largo del mare, dove le profondità degli abissi nascondono tesori d’epoche passate e dove non si ha alcuna speranza di sopravvivere ad un naufragio.

Ma le onde sono sempre destinate a raggiungere la riva e, nel tragitto che dal largo le portava sino alla costa, esse moltiplicarono ancora la loro dimensione in maniera inimmaginabile. Fu così che la prima onda raggiunse le terre di Extremelot e, dopo la prima, le seguenti, man mano sempre più alte, più violente, più devastanti…

Frattanto, com’era apparso nella visione della Dea, gli eserciti di Honorius stavano giungendo da Est sino alle mura fortificate di Lot, per sferrare l’attacco decisivo che gli avrebbe servito la vittoria sopra un vassoio di lucente mithril. Per quanto non si possa parlare di “animi” nel caso di Goblin ed Orchi, bisogna ammettere che il loro morale era decisamente alle stelle.

La vittoria sembrava ormai prossima: la maggior parte dei Cittadini era ammalata e portava su di sé i segni inconfutabili delle piaghe e della decomposizione, ed un nutrito gruppo di Marinai era già stato eliminato sulle isole dalle truppe alleate, inviate secondo una strategia studiata anche nei minimi dettagli. Ora rimaneva solo da conquistare la città vera e propria, ma, date le condizioni in cui si trovavano i combattenti lottiani in quel preciso momento, non sarebbe stato un grosso problema schiacciarli sotto il peso di questo nuovo esercito che stava giungendo al massimo del proprio vigore.

Finalmente la parola “fine” sarebbe stata scritta sul capitolo della Storia lottiana ed il Male avrebbe trionfato per l’eternità.

Perduti in questi pensieri di autocelebrazione, i componenti degli eserciti di Honorius non si accorsero dei segnali manifesti che li circondavano, non videro il cielo rabbuiarsi, né le saette che in lontananza ricamavano l’orizzonte, e non prestarono attenzione alla pioggia che cominciava a cadere, facendosi via via più fitta ed insistente, capitava sovente di quella stagione.

Poi, improvvisamente, un fragore insopportabile catturò la loro attenzione. Cosa stava accadendo? Sembrava il ruggito di un leone in caccia, quando, dopo un lungo inseguimento, finalmente si avventa sulla sua preda impaurita… e, prima ancora di comprendere la reale situazione, con un boato indescrivibile che squarciò il loro palpabile silenzio, furono investiti da migliaia d’ettolitri d’acqua.

Purtroppo anche Simeht non avrebbe rinunciato facilmente alle sue malvagie creature e, resosi conto di ciò che stava accadendo, dalla sua prigione al centro della terra, furente di rabbia smosse le interiora del mondo, generando cunicoli tra i ghiacci, grotte e dedali di roccia.

Una gran parte degli eserciti del Male perì annegata dalle lacrime di Themis, o schiacciata contro le mura di Lot dalla furia delle acque in tempesta, ma una parte pur consistente si salvò, trovando riparo in quella moltitudine d’insenature che il malvagio Simeht aveva generato per accogliere le sue orride emanazioni.

Dopo tutti questi sconvolgimenti naturali neppure la disposizione geografica dei territori ebbe più la stessa configurazione: passata la devastante inondazione che, fortunatamente, rese le terre ancora più fertili, le acque si ritirarono ed il Mare a Lot scomparve per sempre, ritirandosi verso Est e portando con sé i cadaveri degli invasori, persino nel Granducato si ebbero delle trasformazioni significative.

Il Porto di Lot, travolto dalla furia delle onde, andò distrutto e non fu mai più ricostruito segnando il declino della Marina che, a quel punto, non aveva più ragione di esistere. Ma un fatto ancora più strano accadde e, paradossalmente, sarebbe stato destinato a cambiare le sorti della città, soprattutto nelle sue continue lotte contro le schiere nemiche capitanate da Honorius.

Una volta ritiratosi il mare, vennero alla luce nuovi accessi a Lot fino allora sconosciuti, in quanto, da sempre, seppelliti dalle acque, le Fogne, che s’insinuavano direttamente all’interno delle mura tramite il Pozzo del Fato. Era già accaduto in precedenza che qualche creatura, particolarmente abile, fosse riuscita ad introdursi nei cunicoli delle Fogne utilizzando chissà quali passaggi, ma erano episodi eccezionali ed i Soldati riuscivano, senza troppi sforzi, a farvi fronte. Ora, invece, con la strada spianata verso Lot, Skertl, Goblin ed Orchi arrivarono a centinaia, e nuovi sanguinari scontri si fecero all’ordine del giorno.

Data la lunghezza dell’articolo, il post è stato diviso in più pagine:

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