La Nuova Lot

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Data di pubblicazione: 14 Settembre 2011 ©Giardino delle Fate

CAPITOLO III. L’Infante Uther Pendragon e i suoi Precettori

L’avvento dell’Infante Uther Pendragon, fu preceduto dall’intensificarsi d’attacchi da parte di Forze di Honorius e dalla comparsa in città di suoi emissari, che cercavano di portare scompiglio e dubbi tra la popolazione. Uno dei più pericolosi fu Horren.

Tutte le Gilde si organizzarono per proteggere nel miglior modo possibile il futuro erede di Lot, creando al loro interno le figure dei Precettori dell’Infante, che votavano la loro vita a proteggerlo ed istruirlo, ognuno in base alle proprie capacità.

Subito dopo la nascita dell’Infante, accolta con grandi festeggiamenti nel Granducato, iniziarono da parte di Honorius i tentativi di rapirlo, e i Precettori dell’Infante ingaggiarono con Horren e con altri emissari del male, una lotta senza quartiere.
I precettori presidiavano la Corte e non lasciavano mai incustoditi gli accessi alla camera dell’erede di Lot. Nei primi giorni di vita di Uther Pendragon si erano svolte lotte, a volte silenziose e nel pieno della notte, in cui i Precettori diedero prova della loro fedeltà e dove misero in gioco la propria vita.

Horren ben presto si rese conto di non avere speranze di arrivare alla camera dell’Infante, ed allora ricorse a mezzi più subdoli e pericolosi, impossessandosi delle menti di semplici cittadini o stimati appartenenti a Gilde e, piegandoli alla propria volontà, li faceva attaccare proditoriamente coloro che vegliavano.

Da quel momento la tensione tra i Precettori divenne altissima, giacché non si poteva essere più sicuri di nessuno, e molte volte avevano l’impressione di essere rimasti il solo baluardo tra l’Infante ed Honorius. Più volte capitò che un volto amico, accolto con sollievo nella solitudine della guardia, nascondesse il pericolo e che, quello che si pensava essere un aiuto, si rivelasse uno spietato nemico pronto ad uccidere.

Ciò creava grossi problemi anche morali in quanto, mentre tutti erano pronti a brandire la spada o ad usare le arti a propria disposizione contro Horren, ben più difficile risultava colpire un amico poiché si sapeva benissimo che, per quanto in potere di Honorius, se lo si fosse ucciso sarebbe stato l’amico a morire e non chi lo aveva in potere. Questo spingeva a cercare di fermarlo senza ferirlo, spesso con conseguenze per i Precettori stessi che rimanevano feriti a loro volta.

Il senso del dovere era altissimo, ed appena si avvistava un emissario di Honorius a Lot, immediatamente tutti i Precettori accorrevano a Corte ed attendevano l’evolversi degli eventi pronti, se fosse stato necessario, a sacrificarsi come ultima barriera davanti alla culla.

Dopo innumerevoli tentativi finalmente Honorius si rese conto dell’impossibilità di colpire l’Infante, Horren fu impiegato per altre nefande azioni, e i Precettori poterono vegliare in un clima di maggiore sicurezza, ma Honorius, possessore della Città, ancora una volta mostrò la sua infamia riportando in vita quei cittadini che caddero nella Rupe dell’Oblio, costoro privi ormai di coscienza pattugliavano le strade ed attaccavano quelli che erano loro amici, mille grida di anime tormentate si levarono nel Granducato.

Themis, portata dalla compassione per tanta sofferenza, raccolse i loro spiriti in calici dorati, inattaccabili dal Male, e li offrì ai soldati ed avventurieri che si arrischiarono ad addentrarsi nel fitto dell’Esercito nemico, fornendo così nutrimento al loro desiderio di giustizia.

Non per poco durò il tentativo di un servo di Honorius, tale Selmek di Asur che, usando i suoi magici poteri di controllo atmosferico, tentò di far guadagnare tempo al suo Signore. Costretto più volte in ritirata provò anche a gettare nel caos la città, creando confusione nelle Gilde ed agendo contro alcuni membri di queste che rifiutarono la sua corruzione.

Costui non era stato ancora catturato, ma si aggirava tra le mura tramando e fuggendo per evitare vilmente lo scontro. Forse l’avvento dell’Infante Uther Pendragon era il segno previsto dagli Aruspici per la vittoria conclusiva.

CAPITOLO IV. La Morte del Conte Erik

Molte lune fa il Conte Erik partì per una lunga spedizione, che lo tenne per diverso tempo lontano da Lot. Lo scopo di tale missione era purtroppo legato alla Prima Profezia, quella che riportava: “La confusione del Governo del Regno sarà tale da sconvolgerne il rito”.

In effetti, le forze del Male erano riuscite a portare grande scompiglio a Lot, giacché, tramite un sortilegio, un emissario di Honorius aveva assunto le sembianze del Conte Erik e si aggirava indisturbato per la cittadella, sotto gli occhi increduli dei suoi abitanti. Il vero Erik dunque dové partire per cercare una soluzione. Egli portò con sé l’Anello dei Tre Santi, al quale erano legate le tre Profezie così come lo erano le Tre RosaSpinae.

Ben presto cominciarono a circolare strane voci per Lot sulla possibile scomparsa del Conte, collegate anche agli strani fuochi di Tauand… Contemporaneamente molti Goblin cominciarono ad apparire e girare per la cittadella annunciando la morte del Conte, che la prima profezia si era ormai compiuta, e che Lot era destinata a soccombere contro le forze del Male.

Furono prontamente organizzate battute di ricerca al comando del Capitano Cloud. In una di queste, purtroppo, la sorte si accanì contro l’esercito lottiano: durante uno degli scontri alle caverne, d’un tratto si aprì una luce accecante ed una voragine luminosa risucchiò tre dei marescialli dell’Esercito Ducale, proprio davanti agli occhi attoniti dei militari che, straniti, non poterono fare nulla per impedirlo.

Dati per morti, lo stratigoto Matthew decise che non vi era più tempo per le attese, ed organizzò una spedizione verso il palazzo di Honorius, sempre sotto il comando del capitano Cloud. Nessuno si sarebbe mai aspettato ciò che videro appena giunti al palazzo: resti straziati di centinaia di Goblin ed Orchi giacevano ovunque, sangue e devastazione, ma nessuna traccia del Conte Erik o del Maresciallo Reptile, l’unico dei tre che ancora non era stato ritrovato.

Un pomeriggio, dal fitto della boscaglia, comparve il maresciallo Reptile, che raccontò di com’era riuscito a fuggire; sebbene in stato confusionale ed ancora accecato a causa del bagliore delle caverne, era certo di aver riconosciuto la voce del Conte e che fosse stato proprio lui ad averlo liberato.

Non si riuscì neppure a risolvere fino in fondo la questione, che subito un altro evento tragico si abbatté su Lot: il corpo del Conte Erik fu ritrovato nel piazzale del Granducato, sulla fontana, con la testa recisa e vittima di un incantesimo che non permetteva di rimuoverlo.

Alcuni sostenevano di avere visto due Conte Erik lottare l’uno contro l’altro all’ultimo sangue, finché uno dei due non cadde al suolo. Il corpo ritrovato nel piazzale era privo di capo e, sebbene fosse stato riconosciuto dai Nobili come il vero Conte Erik, in fondo al cuore di molti lottiani albergava ancora un barlume di speranza di rivederlo un giorno ancora in vita. Tuttavia la prima profezia si era avverata…

Fu innalzata una pira ove era stato trovato il corpo decapitato del Conte, che bruciò per sette giorni e sette notti, e furono indetti festeggiamenti canti e balli, affinché i lottiani lo ricordassero non con pianti, ma con sorrisi.

Nei giorni successivi la situazione a Lot precipitò: un Goblin continuava ad aggirarsi per la cittadella vendendo strane mercanzie, tutte genuinamente fasulle, comprese le tavole del sapere e, addirittura, l’anello ancora sporco di sangue del Conte.

La seconda profezia rischiò così di avverarsi… tempi bui, cupidigia, litigi erano iniziati a serpeggiare per Lot, rischiando di rovinare la già precaria armonia della cittadella.

Data la lunghezza dell’articolo, il post è stato diviso in più pagine:

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