Alchimia ed Alchimisti

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Data di pubblicazione: 19 Settembre 2011 ©Giardino delle Fate

L’Alchimia è un antico sistema filosofico esoterico, una disciplina teorica e applicata che, attraverso lo studio di corrispondenze, affinità, influssi fra ogni componente visibile ed invisibile del Cosmo, si proponeva di giungere alla trasmutazione di metalli vili (come il piombo) in metalli nobili (innanzitutto l’oro) e, simultaneamente, alla trasmutazione fisica e psichica dello studioso-operatore (l’Alchimista), da una condizione di umanità “vile” ad una di umanità “nobile” o “aurea”.

Nel linguaggio alchemico, il passaggio di un metallo o di un uomo dalla condizione “vile” a quella “nobile”, significa una maturazione verso la pienezza della propria essenza segreta, una rigenerazione, al compimento della quale ogni metallo diverrebbe il metallo per eccellenza (l’oro), ed ogni uomo l’Uomo per eccellenza, emancipato (come l’oro) da impurità, corruttibilità, e durata limitata di vita.

«Chi non considera che il significato esteriore isolando dall’insieme, è un materialista,
chi non considera che il significato interiore isolando dal resto, è un falso mistico:
ma chi unisce i due significati è perfetto.»
~• Ahmad Al Alawi •~

alchimiaL’Alchimia combina elementi di chimica, fisica, astrologia, arte, semiotica, metallurgia, medicina, misticismo e religione. Il pensiero alchemico è considerato da molti il precursore della chimica moderna prima della nascita del metodo scientifico.
Vi erano tre grandi obiettivi che si proponevano gli Alchimisti:

conquistare l’Onniscienza
creare la Panacea Universale, un rimedio cioè per curare tutte le malattie, per generare e prolungare indefinitamente la vita
trasmutare tutti metalli vili in oro

Ogni Alchimista mirava alla creazione di una pietra, la Pietra Filosofale (in latino Lapis Philosophorum o “pietra dei filosofi”), il Lapis capace di trasformare in oro tutti gli altri metalli, nonché l’Elisir di lunga vita, che avrebbe dovuto dare all’uomo il dono dell’immortalità. La Pietra Pilosofale, sostanza di tipo etereo (che sostanzialmente potrebbe essere una polvere, un liquido od una pietra), era considerata il fine ultimo dell’Alchimia o Arte Regia.

La Pietra Filosofale è dunque, per eccellenza, la sostanza catalizzatrice simbolo dell’Alchimia, capace di risanare la corruzione della materia, e sarebbe dotata di tre proprietà straordinarie:

1. Produrre un Elisir di lunga vita in grado di conferire l’immortalità, fornendo pertanto la Panacea Universale per qualsiasi malattia.
2. Far acquisire l’Onniscienza, ovvero la conoscenza assoluta del passato e del futuro, del bene e del male (cosa che spiegherebbe anche l’attributo di “filosofale”).
3. La possibilità infine di trasmutare in oro i metalli vili (proprietà che ha colpito maggiormente l’avidità popolare).

Molte leggende tuttavia, attribuiscono a tale elemento altre proprietà, o ne sottraggono alcune. Alcune speculano anche sul fatto che l’elemento in realtà non debba essere forzatamente solido, e che esso sia una polvere rossa molto densa o addirittura un materiale giallastro simile all’ambra.

Ciò non vuol dire comunque che la Pietra Filosofale fosse l’oggetto di semplici leggende, di visioni utopiche o di desideri avidi: l’oro infatti era ricercato soprattutto per essere utilizzato come catalizzatore nelle reazioni chimiche (per portare a termine le trasformazioni), essendo inoltre apprezzato da sempre come l’unico metallo conosciuto in grado di restare inalterabile nel tempo. Per ottenere la Pietra Filosofale veniva adoperato un forno speciale denominato athanor.

Poiché anticamente si pensava che gli elementi dell’Universo fossero formati della stessa sostanza primigenia, assolutamente identica in tutti ma presente in proporzioni diverse, appariva lecito supporre che tali proporzioni potessero essere variate dall’azione di un agente catalizzatore (la Pietra Filosofale), capace di riportarli alla loro materia prima. La maggiore o minore presenza di quel composto originario era ciò che determinava appunto le loro mutazioni.

L’Opus Alchemicum per ottenere la Pietra Filosofale avveniva mediante sette procedimenti, divisi in quattro operazioni: Putrefazione, Calcinazione, Distillazione e Sublimazione; e tre fasi: Soluzione, Coagulazione e Tintura. Attraverso queste operazioni la “materia prima”, mescolata con lo zolfo ed il mercurio e scaldata nella fornace (athanor), si trasformerebbe gradualmente, passando attraverso vari stadi, contraddistinti dal colore assunto dalla materia durante la trasmutazione.

Il numero di queste fasi, variabile da tre a dodici a seconda degli autori di trattati alchimistici, è legato al significato magico dei numeri.
I tre stadi fondamentali sono:

Nigredo o Opera al Nero, in cui la materia si dissolve, putrefacendosi;
Albedo o Opera al Bianco,
durante la quale la sostanza si purifica, sublimandosi;
Rubedo o Opera al Rosso,
che rappresenta lo stadio in cui si ricompone, fissandosi.

I tre principali stadi attraverso i quali la materia si trasformava, la Nigredo, l’Albedo e la Rubedo, erano rispettivamente simboleggiati dal corvo, dal cigno e dalla fenice. Quest’ultima, per la sua capacità di rinascere dalle proprie ceneri, incarna il principio del “nulla si crea e nulla si distrugge”, tema centrale della speculazione alchimistica.

Inoltre, era sempre la fenice a deporre l’uovo cosmico, che a sua volta raffigurava il contenitore in cui era posta la sostanza da trasformare. Anche il serpente Ouroboros, che si mangia la coda, ricorre spesso nelle raffigurazioni delle opere alchemiche, in quanto simbolo della ciclicità del tempo e dell'”Uno, il Tutto” (“En to Pan”).

Nel Rinascimento l’Alchimia, già viva presso gli Arabi e largamente praticata nel Medioevo, si diffuse in tutta l’Europa. Con le sue effettive scoperte essa preparò l’avvento della chimica moderna. Le scuole di Alchimia cinese, pur avendo come obiettivo comune la ricerca dell’immortalità, si differenziavano per i metodi di ricerca:

✽ Gli Alchimisti della scuola esterna si occupavano prevalentemente della ricerca dell’Elisir di lunga vita attraverso la produzione di rimedi, elisir e pillole dell’immortalità, le cui componenti erano in gran parte sostanze vegetali e, in misura minore, sostanze animali e minerali.
✽ Gli Alchimisti della scuola interna, invece, ricercavano l’immortalità attraverso l’utilizzo di pratiche fisiche e mentali che provocassero una trasmutazione del corpo, consentendo al praticante di vivere indefinitamente. Il corpo stesso del praticante veniva concepito come un laboratorio alchemico, e l’Elisir di lunga vita scaturiva teoricamente dalla distillazione di sostanze corporee, prodotte attraverso l’utilizzo delle funzioni vitali (respirazione, circolazione, funzionamento endocrino, etc…) che venivano guidate dall’Alchimista.

In conclusione, le ricerche degli Alchimisti erano tutte dominate dalla speranza di trovare la Pietra Filosofale. Nonostante l’illusorietà di tali speranze, l’ideale di una sempre maggior potenza e del dominio dell’uomo sulla natura agivano profondamente sulla mentalità degli scienziati di quel tempo.

L’Alchimia, oltre ad essere una disciplina fisica e chimica, implicava un’esperienza di crescita ed un processo di liberazione e di salvezza dell’artefice dell’esperimento. In quest’ottica la scienza alchemica veniva sacralizzata e ricondotta ad un tipo di conoscenza metafisica e filosofica, assumendo connotati mistici e soteriologici, cosicché i processi e i simboli alchemici possiedono sovente un significato interiore relativo allo sviluppo spirituale, in connessione a quello prettamente materiale della trasformazione fisica.Il termine “Alchimia” deriva dall’arabo al-kimiyah, al-kimiyà o al-khimiyah (الكيمياء o الخيمياء), composto dell’articolo al- e della parola kimiyà, che significa “pietra filosofale” e che a sua volta, sembrerebbe discendere dal termine greco khymeia (χυμεία) che significa “fondere”, “colare insieme”, “saldare”, “allegare” (da khumatos, “che è stato colato”).

Un’altra etimologia collega la parola ad Al Kemi, che significa “l’arte egizia”; gli antichi Egiziani chiamavano infatti la loro terra Kemi ed erano considerati potenti Maghi in tutto il mondo antico. Il vocabolo potrebbe anche derivare da kim-iya, termine cinese che significa “succo per fare l’oro”.

La trasmutazione dei metalli di base in oro (con la pietra filosofale, o grande elisir, o quintessenza, o pietra dei filosofi, o tintura rossa) simboleggia un tentativo di arrivare alla perfezione e superare gli ultimi confini dell’esistenza.

Gli Alchimisti credevano che l’intero Universo stesse tendendo verso uno stato di perfezione, e l’oro, per la sua intrinseca natura di incorruttibilità, era considerato la più perfetta delle sostanze. Era anche logico pensare che riuscendo a svelare il segreto dell’immutabilità dell’oro, si sarebbe ottenuta la chiave per vincere le malattie e il decadimento organico; da ciò l’intrecciarsi di tematiche chimiche, spirituali ed astrologiche che furono caratteristiche dell’Achimia medievale.

La scienza dell’Alchimia ebbe una notevole evoluzione nel tempo, iniziando quasi come un’appendice metallurgico-medicinale della religione, maturando in un ricco coacervo di studi, trasformandosi nel misticismo ed alla fine fornendo alcune delle fondamentali conoscenze empiriche nel campo della chimica e della medicina moderne.

L’idea di una trasformazione dei metalli non era “campata in aria”, in quanto tale possibilità non urtava contro nessuna delle cognizioni scientifiche del tempo, ed aveva gli stessi scopi che si propone oggi la sintesi chimica, che prevede e controlla il raggruppamento molecolare di sostanze diverse.

Secondo le aspettative del tempo chi fosse riuscito a trovare la Pietra Filosofale non solo sarebbe diventato l’uomo più ricco del mondo, ma avrebbe anche goduto di perpetua giovinezza e salute. Eppure, come osserva Jung attraverso lo studio comparato di miti ed antichi testi, l’Alchimia, archetipo dell’Anthropos, illustra quella stessa fenomenologia psichica che il terapeuta osserva durante il confronto con l’inconscio.

Il simbolismo alchemico è stato occasionalmente utilizzato nel XX secolo dagli psicoanalisti, uno dei quali, Jung, ha riesaminato la teoria e il simbolismo alchemico, ed ha iniziato a porre in luce il significato intrinseco del lavoro alchemico come ricerca spirituale.

Il simbolismo alchemico è l’emblema di quel fenomeno noto non solo in ambito psicoanalitico, ma anche nei normali rapporti umani, col nome di traslazione. Vi sono stretti rapporti tra l’Alchimia e la psicologia dell’inconscio, ed è nella proiezione – emergente nelle relazioni – che l’inconscio si manifesta, attraversando le sue tappe per giungere al compimento dell’Opus (l’unione).

Jung ha trattato il mito della Pietra Filosofale facendone l’emblema della psicoterapia. Il Lapis, infatti, la materia prima che gli uomini cercarono inutilmente per secoli, va rintracciata nell’essere umano stesso. L’esposizione junghiana della teoria dei rapporti intercorrenti tra Alchimia ed inconscio si trova in varie sue opere, che abbracciano un arco di tempo che va dai primi anni ’40 a praticamente fino alla sua morte, avvenuta nel 1961: “Psicologia e alchimia” (1944), “Psicologia del transfert” (1946), “Saggi sull’alchimia” (1948) e “Mysterium Coniunctionis” (1956).

La tesi dello psicanalista svizzero consiste nell’identificazione delle analogie esistenti tra i processi alchemici e quelli legati alla sfera dell’immaginazione ed in particolare a quella onirica. Secondo Jung, le fasi attraverso le quali avverrebbe l’Opus Alchemicum avrebbero una corrispondenza nel processo di individuazione, inteso come consapevolezza della propria individualità e scoperta dell’essere interiore.

Mentre l’Alchimia non sarebbe altro che la proiezione (psicologia) nel mondo materiale degli archetipi dell’inconscio collettivo, il procedimento per ottenere la Pietra Filosofale rappresenterebbe l’itinerario psichico che conduce alla coscienza di sé e alla liberazione dell’IO dai conflitti interiori. Per questo gli Alchimisti possono essere considerati dei mistici la cui esistenza è stata dedicata al processo individuativo.

Non si sa fino a che punto fossero consapevoli della vera natura della loro arte. Di fatto, da un lato essi correvano il rischio di errare o d’essere sospettati di pratiche fraudolente, dall’altro rischiavano il rogo destinato agli eretici.

Nel Medioevo, attraverso l’opera degli Alchimisti, si mette a fuoco per la prima volta in modo chiaro il desiderio dell’uomo di oltrepassare i limiti imposti alla natura umana; l’Alchimia, in questo senso, anticipa e prepara l’avvento della moderna civiltà.

Sull’onda di tale profondo desiderio che, com’è noto, Jung interpreta simbolicamente come cammino interiore alla ricerca del Sé, anche sul finire del Cinquecento, quando il metodo sperimentale aprì alla scienza nuove vie, l’Alchimia continuò a godere di una notevole fama e ad offrire a strane figure di avventurieri la possibilità di rapidi arricchimenti e di gigantesche truffe a danno di principi e nobili piuttosto ingenui.

L’idea delle enormi ricchezze che la Pietra avrebbe potuto dare colpiva, infatti, a tal punto l’immaginazione, che gli Alchimisti ricevettero, al pari degli artisti, denaro ed ospitalità presso governi desiderosi di incrementare la loro potenza.

Molte persone di talento credettero fedelmente nella reale possibilità di ottenere l’oro: la regina Cristina di Svezia, ad esempio, ma anche personalità di grande prestigio come il filosofo Bacone o il grande matematico e filosofo Leibniz ebbero, su questo argomento, convinzioni fermissime.

Alcuni, come il famoso Paracelso, furono perseguitati e costretti a lavorare nell’ombra, altri si arricchirono alle spalle di principi bramosi quanto ingenui. Paracelso (Theophrastus Bombastus von Hohenheim, 1493-1541) diede una nuova forma all’Alchimia, spazzando via un certo occultismo che si era accumulato negli anni, e promuovendo l’utilizzo di osservazioni empiriche ed esperimenti tesi a comprendere il corpo umano. Rigettò le tradizioni gnostiche e le teorie magiche, pur mantenendo molto delle filosofie ermetiche, neoplatoniche e pitagoriche.

Per Paracelso l’Alchimia era la scienza della trasformazione dei metalli reperibili in natura per produrre composti utili per l’umanità. La Iatrochimica di Paracelso era basata sulla teoria che il corpo umano fosse un sistema chimico, nel quale giocano un ruolo fondamentale i due tradizionali principi degli Alchimisti, e cioè lo zolfo ed il mercurio, ai quali lo scienziato ne aggiunse un terzo: il sale.

Paracelso era convinto che l’origine delle malattie fosse da ricercare nello squilibrio di questi principi chimici e non dalla disarmonia degli umori, come pensavano i galenici. Quindi, secondo lui, la salute poteva essere ristabilita utilizzando rimedi di natura minerale e non di natura organica.

Il concetto di sulphur et mercurius, letteralmente, di “zolfo e mercurio”, già esistente, nel linguaggio simbolico dell’Alchimia indicava due essenze primordiali viste nel quadro di un sistema dualistico, e riteneva qualsiasi materiale una miscela di questi due componenti, vale a dire di un elemento “in combustione” (zolfo) e di uno “volatile” (mercurio), dotati di gradi diversi di purezza e in un diverso rapporto di mescolanza tra loro.

Da Paracelso venne poi aggiunto quel terzo elemento, il sal (il sale), che doveva costituire la tangibilità: quando il legno è in combustione, la fiamma prende origine dal sulphur, il mercurius trapassa in evaporazione, mentre il sal ne è la cenere residua.

Uno dei più noti che compì una delle più grandi truffe della storia (ai danni della Repubblica di Venezia) fu Bragadino, che per ottenere credito invitava centinaia di persone ai suoi esperimenti. Dopo che i notabili avevano preparato il crogiuolo e vi avevano versato le sostanze indicate (carbone, mercurio, ferro, etc…), Bragadino versava un po’ di polverina nel miscuglio, rimescolando il tutto con una bacchetta. Puntualmente, dopo ogni esperimento, il fondo del recipiente era ricoperto di uno strato di purissimo oro.

Quando il truffatore ebbe accumulato una ingente somma di denaro, fuggì da Venezia e di lui non si seppe più nulla. Molto più tardi fu scoperto l’inganno: la verga di ferro di cui si serviva per rimescolare, era piena di una sottile polvere d’oro trattenuta da un tappo che, a contatto col calore, si scioglieva facendo discendere la limatura sul fondo.

A differenza di questo disonesto avventuriero, l’Alchimista, come il moderno terapeuta, prende molto sul serio il suo lavoro che lo porta inevitabilmente a confrontarsi con l’Ombra (fase della Nigredo). È una situazione difficile che lo porta al coinvolgimento e alla trasformazione.

Vi sono trattati che analizzano a fondo la natura dell’Opera. Scrive l’anonimo autore del “Rosarium Philosophorum”, intorno al 1500: “…È la pietra il Maestro dei Filosofi… perciò il Filosofo non è il Maestro della pietra, bensì ne è il servo. Di conseguenza, chiunque tenti, con l’arte o con un artificio non naturale, di introdurre nell’arcano qualcosa che per natura non vi si trovi, erra e si pentirà del suo errore.”

Commenta Jung: “È chiaro che l’artista non procede secondo il suo capriccio creativo, ma è spinto ad agire dalla pietra stessa; e questo maestro a cui egli è subordinato non è altri che il Sé. Il Sé vuol rendersi manifesto nell’opera, e perciò l’Opus è un processo d’individuazione o di divenire del Sé.”Tornando ai giorni nostri, e tentando un parallelismo tra le pratiche mistiche dell’Alchimista e i miti moderni di redenzione, è naturale domandarsi a cosa possa corrispondere, oggi, la ricerca della Pietra Filosofale.
Cosa cerca, oggi, l’uomo? Quali sono le sue mete più ambite? Quali le truffe, i nuovi giochi di prestigio?

Nella sua variante ombrosa, al negativo, il nuovo mito che illusoriamente sembra garantire potere e felicità eterne, è il denaro, mentre nell’aspetto etimologico positivo del re-ligere, la ricerca è quella che, da sempre, muove lo spirito umano, oltre le colonne d’Ercole, nella vita di ogni giorno. È la ricerca di Dio, dell’anima, del benessere interiore e della serenità. È la ricerca della salute, del giusto e del bene non soltanto personale.

È ricerca che si dà attraverso il confronto autentico con l’ombra e la conflittualità che, pur lacerando la coscienza, ogni volta, reintegrandosi in un terzo punto, superiore, contribuisce, dopo la coniunctio, la morte e la fermentatio, all’ascesa dell’anima e alla purificatio di una coscienza rinnovata, nella percezione dell’Essere e del divenire umano.

«Entra in te stesso, trova la scaturigine.
Prima del tuo respiro, nel segreto del tuo cuore.
Là risiedono tutti i segreti del potere.
Sii. Conosci te stesso. In essenza però.
Trova e libera il tuo essere profondo, colui che è fatto di eternità.»

L’Alchimia non è una religione, non ha teologie o miti, è un’attività trasformativa antica come il mondo, che si muove nel tempo adottando di volta in volta le metafore culturali (cristiane, gnostiche, neoplatoniche, psicologiche) delle civiltà che la ereditano e la sviluppano.

Nella sua essenza più pura non è altro che un occhio scientifico, pagano e Panteista, che osserva “al microscopio” le trasformazioni della Natura, che è Una e Molteplice, traendone insegnamenti spirituali. L’Alchimia è dunque niente altro che una Scienza Filosofica e Mistica, perché è dalla ricerca dei meccanismi che regolano l’Universo microcosmico e macrocosmico, materiale e spirituale, che possiamo conoscere il mondo dentro e fuori di noi, scoprendo che alla fine è tutto un’unica miscela.

Non ci sono divinità, non ci sono femmine e maschi, ma individui e materie prime. Talvolta compaiono una Regina e un Re che concepiscono un figlio che eredita le nature di entrambi i genitori, ma anche questa è solo un’altra delle tante metafore chimiche e spirituali che oggigiorno potremmo tranquillamente sostituire con l’immagine dei due emisferi cerebrali, quando viene riferita alla trasformazione interiore.

Alla base del pensiero alchimistico c’è solo una materia vivente, composta da due forze che, per comodità, generalizziamo come principali e antagoniste. Concetti come Femminile e Maschile, in Alchimia, non sono altro che simboli che purtroppo non vengono compresi nel loro reale significato.

Allo stesso modo l’immagine dell’Androgino confonde solo coloro che non comprendono che la questione è filosofica e non biologica o religiosa.

La conciliazione che l’Alchimia cerca tra i due opposti è un equilibrio dinamico tra le forze che si muovono dentro di noi, forze che non vengono annullate o represse, ma semmai portate alla loro massima potenzialità e messe in grado di interagire in una direzione costruttiva. Ogni persona è metaforicamente un Rebis, una cosa doppia, nella misura in cui tutti sono provvisti di chiave e serratura, di una dicotomia interiore e della capacità di scoprirne il punto di equilibrio.

Con queste premesse l’Alchimia spirituale non può che interessarsi all’Individuo nel suo insieme, visto come sintesi di tutto ciò che ognuno è caratterialmente, potenzialmente, biologicamente, interiormente, intellettivamente, in base alle esperienze personali che ha avuto.

Non vi possono essere discriminanti fisiche, sessuali, di razza o di censo, perché ogni essere umano viene immaginato come una materia prima che racchiude naturalmente in sé tutto ciò di cui ha bisogno per autorealizzarsi: l’Alchimista è operatore, fuoco, elementi, vaso e fornace contemporaneamente. Va considerato quindi come il medico di se stesso, che non guarisce gli altri, ma insegna ad autocurarsi, cioè a portare a perfezione ciò che ognuno è in potenza.

La figlia o il figlio dell’Arte individua il suo Yin e il suo Yang, il suo Fuoco e la sua Acqua, il suo Intuito e la sua Razionalità, li fa emergere, li sfida e li perfeziona per trasformare la loro eterna ed inutile zuffa (che le immagini alchemiche rappresentano come uccelli, serpenti e leoni che si mordono e divorano a vicenda), in cooperazione tra energie complementari. In questo modo impara a costruire non solo fruttuose relazioni dentro se stesso, ma anche rapporti di parità e reciproco scambio con gli altri, sia che si tratti del proprio compagno o compagna, degli amici, dei parenti, dei collaboratori più stretti o di perfetti estranei.

L’Alchimista non conosce lo sfruttamento e la discriminazione, preferendo creare energie, invece che sottrarle od esaurirle: egli infatti è ben conscio di avere dentro di sé un’energia potenzialmente inesauribile, e che se l’essere umano risolvesse le sue dicotomie interne non avrebbe motivo di continuare a proiettarle fuori di sé nel riflesso illusorio della lotta dei sessi, del razzismo, della religione, della politica, e via dicendo.

L’Alchimia ha una radice nel passato, una nel presente ed una nel futuro, per questo motivo tutti possono sempre trovarci qualcosa “da prendere”, anche quando non la vedono nel suo complesso. Questa sua natura le permette di viaggiare nel tempo, trasportata nel bagaglio culturale anche di coloro che non diverranno Alchimisti, ma sono comunque in grado di comprenderne le potenzialità e ritrasmetterle ad altri, motivo per cui entra nel linguaggio comune di tutte le società exoteriche ed esoteriche.

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1 commento

  1. E’ vero, un Alchimista è un Filosofo, un Religioso e un uomo onesto, ma al giorno d’oggi non basta, bisogna avere una cultura generale molto ampia e delle capacità di sintesi e di correlazione naturali … secondo me nell’antichità gli Alchimisti più vicini alla verità sono stati uomini religiosi, che però non avendo le conoscenze scientifiche di oggi sono rimasti al confine fra Spiritualità e Realtà ricorrendo a “immagini”;

    Riassumo alcuni detti:

    Sant’Agostino :
    Non uscire fuori, rientra in te stesso: nell’uomo interiore abita la verità. E se scoprirai mutevole la tua natura, trascendi anche te stesso. Tendi là dove si accende la stessa luce della ragione. (De vera rel. 39, 72)

    da cui deduco :

    “”non cercare Dio fuori di te ma dentro di te…
    non cercare la verità fuori di te ma dentro di te…
    non cercare la vita eterna fuori di te ma dentro di te…””

    VANGELO DI TOMMASO (testo integrale)

    Il Vangelo di Tommaso fu ritrovato nel 1945 fra i famosi manoscritti di Nag Hammadi. La maggioranza degli studiosi ritiene che sia stato scritto prima dei 4 Vangeli Canonici e che abbia direttamente attinto alla cosiddetta “Fonte Q”, raccolta di detti di Gesù che circolava in forma orale.

    Il Vangelo mostra una caratterizzazione decisamente Gnostica e non è riconosciuto dalla Chiesa.

    Queste sono alcune delle parole “segrete” che Gesù il Vivente ha detto e Didimo Giuda Tommaso ha trascritto.

    1. Gesù disse: “Chiunque trova la spiegazione di queste parole non gusterà la morte”.

    4. Gesù disse, “L’uomo di età avanzata non esiterà a chiedere a un bambino di sette giorni dov’è il luogo della vita, e quell’uomo vivrà.
    Perché molti dei primi saranno ultimi, e diventeranno tutt’uno.”

    18. I discepoli dissero a Gesù, “Dicci, come verrà la nostra fine?”
    Gesù disse, “Avete dunque trovato il principio, che cercate la fine? Vedete, la fine sarà dove è il principio.
    Beato colui che si situa al principio: perché conoscerà la fine e non sperimenterà la morte.”

    29. Gesù disse, “Se la carne fosse nata a causa dello spirito sarebbe una meraviglia, ma se lo spirito fosse nato a causa del corpo sarebbe una meraviglia delle meraviglie.
    Eppure mi stupisco di come questa grande ricchezza si sia ridotta in tale miseria.”

    31. Gesù disse, “Nessun profeta è benvenuto nel proprio circondario; i dottori non curano i loro conoscenti.”

    39. Gesù disse, “I Farisei e gli accademici hanno preso le chiavi della conoscenza e le hanno nascoste. Non sono entrati, e non hanno permesso a quelli che volevano entrare di farlo.
    Quanto a voi, siate furbi come serpenti e semplici come colombe.”

    In questo mondo, dove tutto è falso e fatto per interesse, chi cerca di aprire gli occhi al prossimo (come avviene da 2000 anni…) è sempre stato perseguitato: per invidia, per interesse o perché l’intelligenza altrui fa paura…

    Io stesso che, essendo un Chimico, un Radioamatore e un Alchimista per definizione, scrivo queste righe con uno pseudonimo; in questo modo posso affermare, senza paura e senza remore di avere scoperto il meccanismo dell’eterna giovinezza che si cela dentro di noi…

    Ben

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