Lupi e Licantropi

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Data di pubblicazione: 14 Settembre 2011 ©Giardino delle Fate

✧ Nella Cultura Anglosassone ✧

Nella cultura anglosassone le credenze relative ai Licantropi non sono particolarmente diffuse o numerose, forse ciò è da ricercarsi nel fatto che i lupi si estinsero, nelle isole britaniche, molto tempo fa.

Secondo alcuni scritti del X e del XI secolo la licantropia era l’effetto di una maledizione divina, o una maledizione lanciata da membri del clero e santità. Queste maledizioni avevano circa sette anni di durata, durante i quali colui che ne era stato colpito, era costretto a vivere sotto le spoglie di lupo.
La leggenda anglosassone che forse è da considerarsi la più famosa, in merito ai Licantropi, è quella di Arthur e Gorlagon, che risale al XIV secolo circa nella sua versione in latino ma che, sicuramente, è di molto antecedente nella sua versione in gallese.

Questa storia narra di come Re Artù, alla ricerca della risposta ad un quesito postogli dalla moglie, si fosse recato presso il regno di Re Gargol il quale, sentito il dilemma che attanagliava il sovrano di Camelot, lo indirizzò al fratello: Re Gorlagon. Il re, ascoltato a sua volta il dilemma di Artù, gli narrò la storia di un re e di come la moglie di questi, dopo averlo tradito, si fosse servita di un arbusto dal quale egli traeva la propria forza, per trasformarlo in un lupo con un incantesimo.

Il lupo all’inizio si diede alla vita selvaggia creandosi una famiglia con una lupa, quindi guidò il suo branco contro la sua ex-regina ed il suo amante per vendicarsi. Nello scontro perse la sua nuova ferina famiglia e fuggì, trovando riparo presso il re di un paese poco distante, famoso per il suo buon cuore. Il re non smentì se stesso accogliendo il lupo e trattandolo degnamente.

Durante un viaggio del re, il lupo venne lasciato solo nel castello con la regina che lo detestava e non si occupava di lui, troppo presa dal suo amante; il lupo sconvolto dal proprio ricordo personale aggredì l’amante della donna.

Quando il re tornò, la regina imbastì menzogne sul comportamento del lupo e lo accusò di aver sbranato il loro figlioletto. Il lupo però ebbe il beneficio del dubbio da parte del re, e lo condusse in una cantina dove la perfida regina aveva imprigionato il suo stesso figlio.

Per premiare il lupo, il re lo invitò a condurlo al suo castello, ed il lupo portò il re e il suo esercito nel suo vecchio regno. Qui il re ruppe la maledizione facendo ritornare uomo il re-lupo. Fu lo stesso re Gorlagon a raccontare la sua triste ed incredibile storia ad Artù… l’altro re tanto buono di cuore era suo fratello Gargol. 

✾ Antico Egitto ✾

Nell’antico Egitto, le prime rappresentazioni di un incrocio tra un canide ed un uomo riguardano lo sciacallo. Anubi, infatti, compare tra le principali divinità venerate dagli antichi Egizi, sia nell’Alto che nel Basso Regno, fin dalle prime dinastie. Il Dio viene propriamente raffigurato come uno sciacallo, il più delle volte accucciato ma, quando deve presiedere ai riti del trapasso, assume la forma di un uomo con la testa di sciacallo.

Le sue raffigurazioni, sebbene compaiano già all’inizio della storia egizia, si fanno più frequenti a partire dal Medio Regno (2134 a.C. – 1991 a.C.), quando si diffondono maggiormente le tombe ipogee riccamente decorate.

Anubi è il protettore degli imbalsamatori; presiede al processo di conservazione del defunto e guida il suo akh (l’equivalente dell’anima cristiana) nel Regno delle Ombre. Lo conduce fino ad Osiride, a cui era deputato il giudizio dell’anima.

Anubi, inoltre, insieme ad Horus presiede alla pesatura del cuore del defunto, il risultato del quale è uno degli elementi per il giudizio stesso. In questo caso non si può parlare di mannarismo vero e proprio, perché manca l’aspetto della trasformazione, volontaria o involontaria; semplicemente, le due forme del dio convivono nell’immaginario egizio. La convivenza contemporanea di due o più forme per le divinità, è caratteristica della religione egiziana e probabile traccia di un tentativo di unificazione di vari pantheon separati, nati indipendentemente lungo il corso del Nilo.

✯ Antica Grecia ✯

Nell’Antica Grecia compaiono altre raffigurazioni, e sono rispettivamente Zeus, Febo e Licaone.

Zeus è un appassionato mutaforma, e più volte si serve della sua facoltà per sedurre donne mortali, eludendo la sorveglianza di Hera. Nel suo repertorio di trasformazioni (che in effetti si può ritenere illimitato, essendo egli un Dio), vi è anche quella in lupo: proprio in questa forma, e col nome di Liceo, era adorato in Argo, poiché in questa città, e sotto forma di lupo, Zeus era comparso per appoggiare il malcontento popolare nei confronti del re Gelanore, ed appoggiare l’eroe Danao, che al re fu sostituito.

Febo, insieme a sua sorella Artemide, viene partorito da Latona, trasformata in lupa. Inoltre, tra le facoltà attribuite al dio Febo-Apollo vi è quella di mutare forma, ed una delle sue trasformazioni è appunto in lupo.

A Febo Lykos venne anche dedicato un boschetto, nei pressi del suo tempio ad Atene, nel quale soleva tener lezione ai suoi discepoli Aristotele (il Liceo di Aristotele, da cui prende il nome l’ordine scolastico, detto appunto, liceo). Il lupo diviene quindi animale della sapienza.

Il mito di Licaone invece documenta, nelle sue varie versioni, il passaggio del lupo da creatura degna di venerazione ad un essere da temere. Nella versione originaria, Licaone, re dei Pelasgi, fonda sul monte Liceo la città di Licosura, la prima città di questo popolo, mentre nelle versioni successive, Licaone diviene un feroce re dell’Arcadia, che ebbe da molte mogli circa 50 figli ed una figlia, Callisto. Secondo alcuni racconti egli era un sovrano crudele, altri, che fosse un uomo buono ma esasperato dal cattivo comportamento dei figli.

Un giorno egli diede ospitalità ad un mendicante ma, per burlarsi di lui, lo sfamò con le carni d’uno schiavo ucciso (secondo altre versioni, la portata principale era uno dei suoi stessi figli). Il mendicante, che era in realtà Zeus travestito, s’indignò per il gesto sacrilego, e dopo aver fulminato i suoi numerosi figli lo trasformò in lupo, costringendolo a vagare per i boschi in forma di bestia.

L’economia nella zona dell’Arcadia in cui ha origine la seconda versione del mito, è molto più legata all’allevamento di quanto non fossero Atene o Argo. Si riflette quindi, in questa visione del predatore, l’atteggiamento di diffidenza che poteva assumere una società pastorale; il lupo viene visto, qui, come negativo, ed essere trasformati in esso è una punizione, non più una qualità divina. Il “lupo cattivo” stesso, nemesi dell’eroe in duemila anni di favole, ha i suoi natali nella Grecia antica. 

❈ Antica Roma ❈

La figura del lupo, in qualche modo antropomorfa, fa la sua comparsa indipendente anche in altre zone europee. Presso le tribù galliche è un carnivoro funebre, e viene raffigurato seduto come un uomo nell’atto di divorare un morto.

Presso gli etruschi è Ajta ad incarnare in qualche modo le sembianze del Mannaro; il Dio etrusco degli Inferi ama portare un elmo di pelle di lupo, che lo rende invisibile.  È difficile stabilire quando si abbiano le prime leggende che parlino esplicitamente di Licantropi. Di certo, la figura del lupo Mannaro compare, ancora in epoca classica, nel I secolo, nella narrativa della Roma antica.
Ne parla Gaio Petronio nel “Satyricon”, ed è la prima novella in cui appare la figura del Licantropo:

« […] arrivati a certe tombe il mio uomo si nascose a fare i suoi bisogni tra le pietre, mentre io continuo a camminare canticchiando e mi metto a contarle. Mi volto e che ti vedo? Il mio compagno si spogliava e buttava le vesti sul ciglio della strada. Mi sentii venir meno il respiro e cominciai a sudare freddo. Sennonché quello si mette ad inzuppare di orina le vesti e diventa d’improvviso un lupo. […] appena diventato lupo, si mette ad ululare ed entra nel bosco. […] Mi faccio forza e, snudata la spada, comincio a sciabolare le ombre fino a che non arrivo alla villa dove abitava la mia amica. La mia Melissa pareva stupita al vedermi in giro a un’ora simile e aggiunse: “Se tu fossi arrivato poco fa, ci avresti dato una mano: un lupo è entrato nella villa e ha scannato tutte le pecore peggio di un macellaio. Ma anche se è riuscito a fuggire, l’ha pagata cara, perché uno schiavo gli ha trapassato il collo con una lancia”. Al sentire questo non riuscii a chiudere occhio durante la notte e, a giorno fatto, me ne tornai di volata a casa di Gaio, il nostro padrone, come un mercante svaligiato. […] quando entrai in casa, vidi il soldato che giaceva disteso sul mio letto, sanguinante come un bue, e un medico gli curava il collo. Capii finalmente che si trattava di un lupo mannaro. »

Qui si narra di un soldato che si trasformò in un lupo, durante una notte, ben prima del canto del gallo, in un cimitero, sotto gli occhi sconvolti di colui che poi narrò tale vicenda, Nicerote. Dopo la trasformazione, il Mannaro si avventò su di un gregge di pecore e bevve il sangue di tutte le bestie, prima di darsi alla fuga ferito al collo dal pastore. La mattina successiva Nicerote rincontrò il soldato con il suo aspetto umano, ma con una ferita sul collo proprio dove il pastore aveva detto di aver ferito il lupo.

La cosa curiosa di questo racconto è quella degli abiti del soldato: egli si era spogliato prima della trasformazione e quando Nicerote aveva cercato di prenderli, si era accorto che essi si erano pietrificati. Quando poi la mattina si era recato sul luogo dove aveva assistito alla trasformazione, gli abiti erano scomparsi e sul posto restavano soltanto alcune macchie di sangue.

In questo racconto si iniziano a delineare quelli che sono gli “standard” della leggenda dei Licantropi: trasformazione durante la luna piena, luogo del cimitero, bisogno irrefrenabile di cacciare ma non per vera e propria fame (il lupo infatti non aveva sbranato le proprie prede ma soltanto bevuto il loro sangue), e non vi è intervento divino nella trasformazione, né intervento magico, né l’uso di unguenti o pozioni.Nella cultura romana il lupo non è visto solo con sospetto, ma anche con ammirazione. È un simbolo di forza, e la sua pelle viene indossata da importanti figure all’interno dell’esercito. I Vexillifer, sottufficiali incaricati di portare le insegne di ogni legione, indossavano infatti una pelle di lupo che copriva l’elmo e parte della corazza.

Le prime trasformazioni da essere umano ad animale erano riservate agli Dèi o alla magia, è soltanto nel periodo romano che il mito del Licantropo assume quella connotasione che ha mantenuto fino ai giorni nostri. Il Licantropo veniva chiamato versipellis, in quanto si riteneva che la pelliccia del lupo rimanesse nascosta all’interno del corpo di un uomo, che poi si “rivoltava” assumendo le fattezze bestiali.

Il rapporto tra il lupo e i Romani antichi è positivo, come testimoniato anche da altre tradizioni: a parte la lupa nutrice di Romolo e Remo, come già detto il 15 febbraio si svolgeva la cerimonia dei Lupercali, in onore del dio Luperco (versione romana di Pan), nel corso della quale il sacerdote, vestito da lupo, passava un coltello bagnato di sangue sulla fronte di due adolescenti (questo aspetto della cerimonia era probabilmente derivato da un originario sacrificio umano).

Luperco era il protettore delle greggi, e il rito era stato ereditato dai Sabini. Essi identificavano se stessi nel lupo, animale da cui pensavano avessero origine le loro caratteristiche originarie di guerrieri e cacciatori.

Il termine “lupo mannaro” ha origine dal basso latino lupus homenarius, il cui significato etimologico è “lupo che si comporta come un uomo”.

I romani colti sembrano piuttosto consapevoli che la licantropia sia concepita soprattutto come affezione psichiatrica, piuttosto che come reale condizione fisica, e in ambito ellenico lo stesso Claudio Galeno, nella sua “Ars medica”, dà una descrizione più realistica di questa malattia, prescrivendo anche dei rimedi:

« Coloro i quali vengono colti dal morbo, chiamato lupino o canino, escono di notte nel mese di febbraio, imitano in tutto i lupi o i cani, e fino al sorgere del giorno di preferenza scoprono le tombe. Tuttavia si possono riconoscere le persone affette da tale malattia da questi sintomi.
Sono pallidi e malaticci d’aspetto, e hanno gli occhi secchi e non lacrimano. Si può notare che hanno anche gli occhi incavati e la lingua arida, e non emettono saliva per nulla. Sono anche assetati e hanno le tibie piagate in modo inguaribile a causa delle continue cadute e dei morsi dei cani; e tali sono i sintomi.
È opportuno invero sapere che questo morbo è della specie della melanconia: che si potrà curare, se si inciderà la vena nel periodo dell’accesso e si farà evacuare il sangue fino alla perdita dei sensi, e si nutrirà l’infermo con cibi molto succosi. Ci si può avvalere d’altra parte di bagni d’acqua dolce: quindi il siero di latte per un periodo di tre giorni, parimenti si purgherà con la colloquinta di Rufo o di Archigene o di Giusto, presa ripetutamente ad intervalli. Dopo le purgazioni si può anche usare la teriarca estratta dalle vipere e le altre da applicare nella melanconia già in precedenza ricordate. »

❖ Nord Europa ❖

Nelle tradizioni del Nord Europa, compaiono figure di guerrieri consacrati a Odino, i Berserker, che nella furia della battaglia si diceva si trasformassero in orsi o lupi.

Fenrir è il prototipo del Lupo Mannaro scandinavo, è uno dei tre mostruosi figli di Loki, il Dio vichingo degli inganni. Non è un Lupo Mannaro vero e proprio, perché non può trasformarsi, si presenta sempre in forma di lupo; tuttavia, è grosso al punto di essere deforme, ferocissimo, scaltro e dotato di parola come un uomo, tutte caratteristiche che lo avvicinano fortemente alla stirpe dei Mannari.

Gli Dèi vichinghi, man mano che esso cresce, iniziano a temerlo, cercano di imprigionarlo, ma la belva è troppo forte e riesce a liberarsi. Per bloccarlo definitivamente, devono ricorrere all’inganno e alla magia (altra analogia con molti miti riguardanti Licantropi): lo legano con un laccio fabbricato dai Nani, intrecciando barba di donna, rumore di passi di gatto, radici di un monte, respiro di pesce, tendini d’orso e sputo d’uccello.

Ha forma di lupo anche l’innaturale progenie di una vecchia gigantessa. Due dei suoi figli lupi, Skoll ed Hati, inseguono dall’alba dei tempi il sole e la luna (per questo motivo, secondo il mito, i due astri si muovono), e finiranno per divorarli nell’ultimo giorno del mondo.

I Lupi Mannari propriamente detti, compaiono anche nell’epica vichinga, in particolare nella saga dei Volsunghi, in almeno due occasioni. Nel canto quinto, a trasformarsi in lupo è la madre di re Sigger, facendo uso delle sue arti magiche. La regina-lupa si diverte, nella leggenda, ad infierire sui figli di Volsung, che erano stati fatti prigionieri in battaglia da suo figlio; dei dieci uomini, nove vengono uccisi. Sopravvive Sigmund, aiutato dalla gemella Signi, che è anche moglie di re Sigger, gli unge il volto di miele e la notte, il Lupo Mannaro si ingolosisce, sentendo l’odore, ma gli lecca il volto anziché sbranarlo. Prontamente Sigmund gli afferra la lingua con i denti, e la belva se la strappa per liberarsi, ma nel tentativo si procura una ferita che la uccide e, contemporaneamente, spezza i ceppi di Sigmund, liberandolo.

Il tema del Lupo Mannaro ricompare nel canto ottavo; qui, Sigmund e il nipote Sinfjotli giungono, attraverso una foresta, ad una dimora dove dormono due uomini di nobile stirpe. Sopra di loro sono appese delle pelli di lupo, due principi stregati da un incantesimo: devono sempre mostrarsi in forma di lupo, e solo una volta ogni cinque giorni, possono riprendere sembianze umane.

Sigmund e il nipote, incuriositi dalle pelli, le rubano, facendo ricadere su di loro la maledizione. Assumono sia le sembianze che la natura di lupi, ed iniziano ad aggredire uomini. In particolare, Sinfjotli si dimostra aggressivo e furbo. Sigmund e Sinfjotli riescono poi a liberarsi dalla maledizione del Lupo Mannaro, dando fuoco alle pelli.

Il mito del Licantropo si ritrova nel nord Europa anche in altre zone, oltre alla Scandinavia. Compaiono nella tradizione dei popoli germanici e delle isole britanniche a fianco, di volta in volta, dell’orso mannaro o del gatto selvatico.

La diffusione di queste credenze è testimoniata da Olaus Magnus, nella sua “Historia de gentibus septentrionalis”. Magnus racconta come, nella notte di Natale, si radunino in un certo luogo molti Uomini-lupo:

« […] li quali la notte medesima, con meravigliosa ferocità incrudeliscono, e contro la generazione umana, e contro gl’altri animali, che non son di feroce natura, che gl’abitatori di quelle regioni patiscono molto di più danno da costoro, che da quei che naturali Lupi sono, non fanno. Perciochè, come s’è trovato impugnato con meravigliosa ferocità a le case de gl’uomini, che stanno nelle selve, e sforzansi di romperle le porte, per poter consumare gl’uomini e le bestie che vi son dentro »

Il carattere di questi Licantropi si differenzia quindi notevolmente dai lupi genuini, che ne escono quasi riabilitati. I mostri descritti da Magnus hanno anche spiccata tendenza all’alcolismo, e dopo essere entrati nelle cantine:

« quivi si bevono molte botti [di birra] e di quella e d’altre bevande, e poi lasciano le botti vote, l’una sopra l’altra, in mezzo alla cantina. E in questa parte sono disformi dai naturali, e veri Lupi »

✦ Altre Culture Europee ✦

In Italia, il Lupo Mannaro assume nomi diversi da regione a regione: lupi minari in Calabria, lupenari in Irpinia, luponari in Sicilia, Luv Ravas nel cuneese, Loup Ravat nelle valli valdesi.

Nella Francia centrale e meridionale, il Lupo Mannaro è il loup garou. L’etimologia è incerta: secondo alcuni, garou contiene una radice che significa “uomo”, mentre secondo altri deriva da loup dont il faut se garer, ovvero “lupo dal quale bisogna guardarsi”. Nella Francia settentrionale, in particolare in Bretagna, è il bisclavert.

In Germania e in Gran Bretagna ci sono i werwulf e i werewolf, la cui origine etimologica è la medesima: wer, dal latino vir (uomo) e wulf o wolf (lupo).

Nell’Europa dell’est compare una figura ambigua, a metà tra il Lupo Mannaro e un Demone in grado di risucchiare la forza vitale (che più tardi, si identificherà col Vampiro). Il suo nome cambia a seconda della regione, ma l’origine del nome rimane sempre la stessa.

È detto volkalak in Russia, wilkolak in Polonia, vulkolak in Bulgaria, e varcolac’ in Romania.

❁ Oriente e Americhe ❁

In Oriente, si diceva che Gengis Khan fosse discendente del “grande lupo grigio”.
Nelle pianure degli Stati Uniti, erano gli indiani Pawnee a ritenersi imparentati con i lupi. Usavano anche ricoprirsi delle pelli di questi animali, per andare a caccia.

Un simile comportamento può avere un valore esclusivamente simbolico (la volontà di impadronirsi delle doti del predatore), e non certo mimetico: le potenziali prede degli uomini sono anche, da altrettanto tempo se non di più, prede del lupo, e sono quindi molto ben allenate a distinguerne il manto.

✽ Caccia ai Licantropi ✽

Dal Basso Medioevo in avanti, il rogo è una soluzione usata a profusione per sbarazzarsi dei sempre più numerosi mutaforma, che paiono moltiplicarsi, specialmente in Francia e Germania.

Il fenomeno arriva a toccare dimensioni gigantesche negli anni successivi alla controriforma, sia nei Paesi cattolici che protestanti. Redigere una contabilità precisa di quanti siano finiti al rogo con l’accusa di mannarismo, da sola o in congiunzione con quella di stregoneria, è molto difficile. Le fonti più prudenti parlano di circa ventimila processi e condanne di Licantropi tra il 1300 e il 1600, ma alcuni si sbilanciano fino a suggerire un numero prossimo alle centomila vittime. La storia più famosa è quella di un certo Peter Stubbe, che forse era effettivamente un serial killer.

Per secoli si è comunque in presenza di una sorta di isteria collettiva, che è ben testimoniata dagli studi di Jacuqes Collin de Plancy. De Plancy, studioso francese dell’Ottocento che si dedicò animatamente a studi di spirito volteriano per spazzare la superstizione residua nella gente, raccoglie molte testimonianze dei secoli precedenti nel suo “Dictionnaire Infernal”, dando un quadro abbastanza preciso di quella che era la situazione in Europa nei secoli citati:

« L’imperatore Sigismondo fece discutere in sua presenza, da un conclave di sapienti, la questione dei lupi mannari, e fu unanimemente stabilito che la mostruosa metamorfosi era un fatto accertato e costante. Un malfattore che volesse compiere qualche soperchieria, non aveva che da spacciarsi per Lupo Mannaro per terrorizzare e mettere in fuga chiunque. A tale scopo non aveva bisogno di trasformarsi davanti a tutti in lupo: bastava la fama.
Molti delinquenti vennero arrestati come lupi mannari, pur rimanendo sempre con sembianze umane. Pencer, nella seconda metà del Cinquecento, riferisce che in Livonia, sul finire del mese di dicembre, ogni anno si trova qualche sinistro personaggio che intima agli stregoni di trovarsi in un certo luogo: e, se loro si rifiutano, il Diavolo stesso ve li conduce, distribuendo nerbate così bene assestate da lasciare immancabilmente il segno.
Il loro capo va avanti per primo, e migliaia di Stregoni vanno dietro di lui; infine attraversano un fiume, varcato il quale si cambiano in lupi e si gettano su uomini e greggi, menando strage »

Plancy riferisce anche un episodio italiano, la cui fonte prima, dice essere un certo Fincel:

« Un giorno venne preso al laccio un lupo mannaro che correva per le vie di Padova; gli si tagliarono le zampe, e il mostro riprese tosto forma d’uomo, ma con piedi e mani mozzati »

Questa sorta di isteria collettiva porta ad episodi terribili e grotteschi insieme. A tal medico Pomponace, sempre secondo Plancy, venne portato un contadino affetto da licantropia; questi gridava ai suoi vicini di fuggire se non volevano essere divorati. Siccome lo sventurato non aveva affatto la forma di lupo, i villici avevano cominciato a scorticarlo per vedere se per caso non avesse il pelo sotto la pelle.

Non avendone trovato traccia, lo avevano portato dal medico. Pomponace, con maggior buonsenso, stabilì che si trattava di un ipocondriaco.

Data la lunghezza dell’articolo, il post è stato diviso in più pagine:

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