Il Popolo Celtico

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Data di pubblicazione: 19 Settembre 2011 ©Giardino delle Fate

I Celti non si possono definire né un singolo popolo né una razza, ma si può parlare piuttosto di una stratificazione di popoli diversi che si fusero insieme con un lento processo durato più di mille anni, in un periodo che si può situare tra il terzo e il secondo millennio avanti Cristo.

Il popolo celtico era formato da centinaia di tribù che si combattevano senza sosta, e che consideravano l’onore come un tesoro inestimabile, da difendere a qualsiasi prezzo.

Questo grande “popolo”, che giunse ad estendere il suo dominio sulla quasi totalità dell’Europa, rimase lontano dai riflettori della storia sino al IV secolo avanti Cristo quando, valicate le Alpi, la marea delle tribù celtiche iniziò a riversarsi improvvisamente sui grandi stati mediterranei.

La quasi totale assenza di notizie disponibili, il loro numero sterminato, l’aspetto feroce con cui si mostrarono, il corpo gigantesco e le consuetudini barbare dei loro guerrieri, contribuirono a creare l’alone di timore e mistero che sarebbe rimasto abbinato per sempre alla civiltà celtica, anche quando i suoi ultimi eserciti erano già stati sconfitti da tempo.

Agli occhi ben più civili di Greci e Romani, le orde clamanti di guerrieri celti, in movimento con mogli, figli, carri e bestiame, parvero improvvisamente sorgere dal nulla, come un terribile e spaventoso incubo che incise profondamente nell’inconscio collettivo di quelle società.

Quando i Celti irruppero al Sud delle Alpi, facendo la loro prima comparsa nella storia scritta, erano già una nazione poliedrica e composita, con più di mille anni di storia alle spalle, una cultura al culmine del proprio splendore e della propria potenza.

I Celti erano una popolazione prettamente nomade, furono i primi ad introdurre l’uso dei mantelli colorati e dei pantaloni (brache), entrambi ereditati dagli Sciti, molto bravi dunque nell’arte della tessitura e della tintura.

Abilissimi, poi, nella lavorazione dei minerali, in particolare del ferro, introdussero l’ottone e per molto tempo lavorarono la smithsonite, un particolare minerale sostitutivo dello zinco. Conoscevano molto bene le varie tecniche di fusione, erano anche capaci nella cottura del vetro (bianco e colorato), nell’uso dello smalto e nella lavorazione dell’ambra.

Questo popolo era anche dedito all’allevamento del bestiame, in particolare mucche e pecore; da queste ultime si traeva la lana. Amavano vivere all’aperto, sotto le querce, ritenute sacre, secondo la cultura del drynemeton (“luogo delle querce”), ove si tenevano riti sacri e processi: erano profondi conoscitori della magia e delle scienze esoteriche.

In generale comunque erano dediti alla manifattura (questo fu trasmesso loro dagli Etruschi) e al commercio, anche per questo si frazionarono molto (di cui Roma ne approfittò), si può dire che ciascuna unità economica era una tribù, pertanto davano una grande importanza al denaro.

Secondo la tradizione Eracle, divinità-eroe ellenico, giunto in Gallia, fondò Alesia e s’invaghì di una principessa locale. Costei, colpita dal suo vigore e dalla sua possenza fisica, si unì all’eroe orientale. Frutto dell’unione fu il giovane Galates che, salito al trono, diede il suo nome al popolo: Galati o Galli.Popolo soprattutto guerriero, i Celti utilizzavano splendidi elmi piumati ed alcune volte corazze (anche se combattevano quasi sempre nudi), tipo quelle medioevali. La spada celtica era corta e veniva impiegata come arma da taglio; più tardi ne furono forgiate di più lunghe, tutte intarsiate e adornate di pietre, ma si parla di dopo il 500 d.C.

Amavano radersi il volto e pettinare i biondi capelli all’insù, indurendoli con del gesso, in battaglia si coloravano il viso e, dopo aver danzato, si lanciavano nudi addosso al nemico urlando. Prediligevano il corpo a corpo ed il primo assalto, per questo con le spade colpivano, menando dei fendenti, che non si rivelavano mai colpi mortali.

Polibio racconta che le loro piccole spade si piegavano dopo i primi colpi, fu questo uno dei motivi che li fece perdere contro i Romani, che invece usavano la spada e le lance, colpendo con dei colpi mortali, evitando il corpo a corpo. Gli scudi, poi, ben rifiniti ed incisi, erano piccoli rispetto al corpo, sempre perché i Celti confidavano nell’impeto dell’assalto, mentre i Romani avevano scudi lunghi, altro motivo della disfatta celtica, tra l’altro i loro eserciti non erano ben organizzati e le loro tattiche di guerra si basavano prevalentemente sul furore bellico.

Dunque i Celti, per via del loro furore e della scarsa tattica, erano destinati a perdere le battaglie contro un esercito organizzato: questa particolarità costituì un serio pericolo per Annibale, nella sua calata in Italia, poiché, in battaglia, la parte celtica del proprio fronte di attacco era la prima a cedere.

Il generale punico seppe utilizzare questo potenziale difetto a proprio vantaggio, inserendo i Celti al centro del proprio schieramento, dando origine alla sua famosa tattica a tenaglia, nella quale il centro cedeva e risucchiava il nemico che veniva finito dalle ali, ove era presente la cavalleria.

L’unico re celtico che capì che, in battaglia, bisognava usare una strategia oltre al furore, fu il gallo Vercingetorige che, impiegando la tattica della “terra bruciata”, minava a colpire gli approvvigionamenti dei Romani, ottenendo qualche successo. In particolare, aveva compreso che se avesse accettato lo scontro diretto con i Romani avrebbe perso.

Data la lunghezza dell’articolo, il post è stato diviso in più pagine:

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