Odysseus, l’Eroe (Ulisse)

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Data di pubblicazione: 23 Settembre 2011 ©Giardino delle Fate

★ L’Odissea ★

Le più antiche testimonianze sulla mitologia che la letteratura greca possa offrire, sono due delle opere forse più famose ed apprezzate dall’umanità intera di tutti i tempi: l’Iliade e l’Odissea. L’epica arcaica, che trova sicuramente un vero e proprio vertice nell’Iliade e nell’Odissea, è rappresentata da due autori famosissimi nella storia della letteratura mondiale di ogni tempo, divenuti poi riferimenti costanti di tutta la letteratura greca di ogni epoca: Omero ed Esiodo.

Gli autori e i divulgatori di queste opere vengono generalmente individuati nei Rapsodi o Aedi, che erano i professionisti della declamazione orale, in genere itineranti, nell’Ellade antica, veri e propri esclusivi detentori, attraverso l’opera di memorizzazione e rielaborazione della tradizione orale, di un materiale letterario che di volta in volta, organizzavano e modificavano in base ai gusti e alle specifiche esigenze del loro pubblico.

In particolare, i poemi omerici possono essere considerati l’unica attestazione scritta della poesia eroica degli Aedi e dei Rapsodi: essi riescono ad unificare in un’eccezionale rielaborazione tutto il bagaglio di miti e di leggende elaborato per secoli dalla letteratura pre-omerica, ed anzi, sono proprio la testimonianza di tale elaborazione. I Rapsodi recitavano i versi a memoria, mentre gli Aedi nella narrazione si servivano di un metro regolare chiamato “esametro dattilico” od “esametro epico”.

Dalla stessa letteratura epica di età arcaica possiamo apprendere che gli Aedi vivevano nei palazzi dei re, come ospiti fissi, benvoluti e rispettati. L’argomento del loro canto non era limitato esclusivamente alla sola esaltazione degli eroi, ma veniva anche a cantare, ad esempio, gli amori di Ares ed Afrodite o la genesi degli Dèi. Questo materiale, come non riesce difficile immaginare, si arricchì e si ampliò progressivamente nel tempo, fino ad assumere la sua forma letteraria definitiva e a diventare il genere letterario definito epos.

L’Odissea (dal greco Ὀδύσσεια, Odysseia) è uno dei due grandi poemi epici greci attribuiti all’opera del poeta Omero. L’Odissea è diviso in 24 libri, ognuno dei quali indicato con una lettera dell’alfabeto greco, per un totale di 12.110 esametri.

Il poema è uno dei testi fondamentali della cultura classica occidentale, e viene tuttora comunemente letto in tutto il mondo, sia nella versione originale che attraverso le numerose traduzioni. L’Odissea si presenta attualmente in forma scritta, mentre in origine il poema era appunto tramandato oralmente da abili ed esperti Aedi e Rapsodi.

La datazione del poema viene comunemente fatta risalire al periodo tra l’800 a.C. e il 700 a.C. L’argomento del poema è in parte una continuazione dell’Iliade, e narra principalmente le avventurose vicende dell’eroe greco Odisseo/Ulisse, durante il suo lungo viaggio di ritorno (νόστος) verso la sua patria Itaca, un’isola greca, dopo la caduta di Troia.

Ulisse, re di Itaca, dopo la distruzione di Troia parte con le sue dodici navi per fare ritorno in patria dai suoi cari: l’adorata e fedele moglie Penelope, il figlioletto Telemaco e il padre Laerte. Ma l’avversità di Poseidone, che patteggiava per i Troiani, lo ostacolerà in ogni modo. Infatti, dopo aver saccheggiato e distrutto la città di Ismaro ed aver ripreso in fretta il mare, il Dio scatena una tempesta che spinge le navi nella direzione opposta rispetto alla meta.

Odisseo ed i compagni giungono così nella terra dei Lotofagi, i mangiatori di loto, fiore che dona l’oblìo; in seguito, però, spinti dal volere del loro condottiero e dall’ansia di tornare alle proprie famiglie, ripartono immediatamente. Il viaggio prosegue ma si arresta quasi subito nella terra dei Ciclopi, ed è qui che abbiamo il famoso passo di Polifemo.

Polifemo stava pascolando le sue greggi quando Odisseo ed i compagni giunsero alla sua enorme spelonca e, credendo nell’ospitalità del Ciclope, rimasero ad attenderlo per favorire assieme al mostro i suoi viveri. Poco tempo dopo, esso arrivò con la mandria e, non accorgendosi al momento della presenza degli estranei, sbrigò le sue solite faccende (mungere le capre e le pecore e disporre il latte), ma ecco che il Ciclope li scorge nel fondo della caverna e, lasciandoli tutti terrorizzati, prende due dei compagni di Ulisse e li divora come cena.

Il mattino seguente, prima di portare al pascolo il bestiame, Polifemo uccide ancora due uomini ed Ulisse, vista l’uscita della caverna bloccata da un enorme masso e volendo vendicarsi per la morte dei suoi compagni, elabora un piano: ordina ai compagni sopravvissuti di sgrossare e levigare un grosso tronco trovato nella grotta (rendendone aguzza un’estremità) da utilizzare per accecare il gigante, dopo averlo fatto ubriacare. Il tentativo riesce e dunque Ulisse si prepara per la fuga: lui e i suoi compagni si legano al ventre dei caproni.

Il mattino successivo Polifemo, ormai cieco, tasta il bestiame sulla groppa per prevenire eventuali evasioni. Ma lo stolto non si accorge di nulla, e così Ulisse con i compagni rimasti, torna sulla nave e riprende il mare. In questo passo dell’Odissea, se analizzato, si può certamente notare, per contrasto fra Ulisse e Polifemo, una grande esaltazione dei Greci.

Innanzitutto la descrizione della spelonca del mostro che come dimensione ed aspetto, rassomiglia in tutto al suo proprietario, diventando così un locus orridus (topos letterario per indicare un luogo caratterizzato da lati alquanto negativi o malefici o spaventosi), dove perdono atrocemente la vita sei compagni dell’eroe greco. Quest’immagine è sicuramente frapposta a quella dell’abitazione di Ulisse, una gran reggia circondata da un luminoso mare.

Inoltre, i comportamenti primitivi dei Ciclopi innalzano quelli civilizzati e sviluppati dei Greci. I Ciclopi, infatti, non lavorano la terra “fidando negli Dèi immortali”, non sanno navigare (mentre i Greci sono degli abilissimi e famosi navigatori), non vivono in gruppi più ampi del loro ristretto gruppo familiare, “ciascuno comanda sui figli e le mogli, incuranti gli uni degli altri” (mentre i Greci hanno un forte senso della vita familiare, il cui esempio è proprio Ulisse), e “costoro non hanno assemblee di consiglio, né leggi”, caratteristiche di una vita sociale organizzata e quindi serena. I Ciclopi sono solo dei rozzi pastori e ciò, come detto in precedenza, rivaluta gli abili e civilizzati Greci.

Ma ciò che distingue i Greci, non è solo la civiltà sviluppata che dimostrano, è anche la gran fedeltà agli Dèi a cui devono tutto. Polifemo, infatti, divorando i compagni di Ulisse, calpesta quelle che sono le leggi dell’ospitalità (il dovere cioè di accogliere un ospite e di aiutare un supplice quale è Ulisse), sacre al popolo greco in quanto proclamate da Zeus in persona. Così facendo il Ciclope disprezza gli Dèi ed arriva addirittura a proclamarsi più potente di loro, dimostrando pertanto una grande sfacciataggine che i Greci mai si permetterebbero con i loro concittadini, figuriamoci con gli Dèi sacri.

Purtroppo la sfacciataggine non è l’unico difetto di Polifemo (il mostro per eccellenza), che si presenta anche come terribilmente stupido, il che va tutto a vantaggio dell’astuzia di Ulisse. La sua stoltezza si nota specialmente nel suo riferire ai compagni Ciclopi che “Nessuno mi uccide!”, non rendendosi conto dell’idiozia appena pronunciata.

La formidabile astuzia di Odisseo, in questo passo, è delineata sia nel dire a Polifemo di chiamarsi Nessuno, sia nell’architettare il piano per fuggire. La sconfitta del mostro, anche in questo campo, diviene automaticamente l’esaltazione delle capacità di Ulisse.

Infine rimane uno scontato contrastante aspetto fisico del gigante e quello dell’eroe. Di Polifemo non abbiamo una perfetta descrizione fisica ma sono i suoi comportamenti, le sue parole, le reazioni che provoca in Odisseo e nei suoi compagni, i quali lo descrivono come un essere orrido e mostruoso.

Il gigantismo di Polifemo è caratterizzato dalla sua capacità di trasportare carichi alquanto grevi, spostare l’enorme masso all’ingresso della vasta spelonca per chiuderla, la sua bestialità è connotata dal modo in cui ha orribilmente divorato e straziato i compagni di Odisseo, insomma, ciò che esce da tali descrizioni, è l’immagine di un mostro da un occhio solo alquanto spregevole, immagine che stona con quella luminosa, aitante ed astuta di Ulisse.

Questo passo, oltre ad essere la grande esaltazione del protagonista dell’Odissea e pertanto del popolo greco in generale, è anche un mirabile esempio di epica. Ulisse, con la sua audacia, si salverà da tutte le trappole tesegli da Poseidone e, annientati i Proci (i pretendenti al trono di Ulisse, ormai creduto morto), si ricongiungerà felicemente con la moglie, rimasta fedele in tutti quegli anni, il figlio, ormai cresciuto, ed il padre, abbastanza invecchiato ma felice, come tutti, di ritrovare l’amato figlio disperso.

L’Odissea non è un’opera totalmente estranea a quella scritta in precedenza da Omero, l’Iliade, oltre ad esserne la continuazione. Al contrario di quanto si possa pensare, infatti, sono molti i legami che accomunano le due opere. L’Odissea è anche stata vista come l’archetipo del romanzo, in quanto racconta dall’inizio alla fine la vicenda scelta, senza lasciarsi troppo distrarre, per così dire, da eventi secondari e non strettamente correlati alle avventure di Odisseo.

L’Odissea presenta un inizio in medias res, ovvero nel vivo della vicenda. Iniziato il poema, la guerra di Troia è già finita da sette anni e, in seguito al proemio, il concilio degli Dèi mette a fuoco la situazione iniziale. Dalla loro discussione, o meglio, da quella tra Zeus ed Atena, che sono gli unici due interlocutori, sappiamo che Odisseo ha trascorso gli ultimi sette anni nell’isola di Ogigia, costretto dalla Ninfa Calypso, e decidono che l’eroe sia rimasto ad Ogigia fin troppo tempo e che, quindi, sia giunto il momento di lasciarlo andare.

Anche nell’Iliade, del resto, vi è un inizio in medias res, in quanto appena iniziata l’opera, il proemio stesso ci racconta dell’ira di Achille Pelide (patronimico, “figlio di Peleo”) causata dal litigio con Agamennone.

Un’altra caratteristica dell’Odissea è la concentrazione temporale, come nell’Iliade. Il tempo reale dell’Odissea è costituito da 38-40 giorni, mentre nell’Iliade, nonostante la vicenda sia ambientata nella guerra di Troia, che dura dieci anni, Omero decide di raccontarci solo gli ultimi cinquantuno giorni di guerra, effettua dunque una “selezione”.

Questo poema è poi ricco di prolessi ma, soprattutto, di analessi: la prolessi è una sorta di “previsione”, in cui vengono anticipati fatti che succederanno solo in seguito, mentre l’analessi (detta comunemente flashback) è un salto nel passato, in cui vengono raccontati fatti precedentemente accaduti. L’Odissea non è altro che un intreccio di più vicende, anche se dal libro I al libro IV, Odisseo viene lasciato in “disparte”: questi quattro libri sono occupati dalla Telemachìa, che prende il nome dal figlio dell’eroe greco, Telemaco.

La Telemachìa consiste in questo: in seguito al concilio degli Dèi, i quali decidono che Odisseo sia stato lontano dalla patria fin troppo tempo, Atena si reca ad Itaca, da Telemaco, per convincerlo a recarsi a Pilo e a Sparta, alla corte rispettivamente di Nestore e Menelao, due eroi greci dell’Iliade, appunto. Telemaco si reca prima da Nestore e poi da Menelao per avere informazioni sul padre Odisseo, loro compagno di battaglia nell’Iliade.

A questo proposito, Menelao racconta a Telemaco ciò che ha appreso dal gigante Proteo, non solo le notizie su Odisseo ed il motivo per cui non torna ad Itaca, ma anche le notizie sugli altri eroi greci che non hanno avuto un felice ritorno in patria: Agamennone ucciso dalla moglie Clitemnestra, sposatasi con Egisto, figlio di Tieste, che è il fratello di Atreo, padre di Agamennone; la morte di Achille per mano di Paride sostenuto da Apollo; il suicidio di Aiace Telamonio, in quanto non gli erano state concesse le armi del defunto Achille.

Un altro legame si trova nella νήχια, ovvero l’incontro di Odisseo con le anime dei defunti quando scende in Ade, tra cui quella di Agamennone che racconta la sua morte (la stessa raccontata da Menelao a Telemaco). Inoltre la celeberrima storia del cavallo di Troia viene raccontata sia da Elena (sempre nella Telemachìa) che da Demòdoco, un Aedo alla corte di Alcinoo.

L’Odissea si svolge principalmente nel Peloponneso e nelle isole ioniche, ma identificare esattamente i luoghi visitati da Ulisse appare quasi impossibile, anche perché il testo offre in genere assai pochi spunti per identificare geograficamente i luoghi.

Gli studiosi non sono nemmeno unanimemente concordi nell’identificare l’Itaca di Odisseo con la moderna Itaca, poiché le descrizioni geografiche ed il numero di isole dell’arcipelago non corrispondono: tradizionalmente si identifica nella Sicilia la terra dei Ciclopi e dei Lestrigoni, in una delle Eolie l’isola dove Ulisse incontrò il Dio Eolo, e in Corfù la terra dei Feaci, Scheria. Successivamente sono stati proposti molti altri luoghi, la maggior parte di questi situati nell’area mediterranea, ma alcuni studiosi sono anche arrivati ad ipotizzare che Ulisse abbia raggiunto l’Oceano Atlantico, o addirittura che tutta la sua vicenda si sia svolta nel Mar Baltico.

Una delle più note traduzioni in italiano dell’Odissea è quella di Ippolito Pindemonte, di stampo decisamente classicistico, mentre quella oggi più usata è di Rosa Calzecchi Onesti, uscita per la prima volta nel 1963. Questa traduzione, pur essendo comunque in poesia, è sicuramente più moderna e di più facile lettura.

✦ I temi dell’Odissea ✦

Oltre ad essere suddivisa in 24 libri, l’opera è strutturata in quattro parti:

 il preambolo, nel quale un concilio degli Dèi, su proposta di Atena, decide di permettere a Odisseo di riprendere il viaggio verso casa, ordinando a Calypso di liberare l’eroe;
 la decisione di Telemaco, figlio di Odisseo, di liberarsi dei pretendenti della madre, che continuano a frequentare il palazzo e a dilapidare il patrimonio del padre. Dopo un inutile invito al popolo ad aiutarlo nella lotta contro i Proci, Telemaco compie un viaggio presso altri sovrani per conoscere le sorti del padre, e sapere se sia possibile superare la situazione di incertezza nella quale si trova, e dare in moglie la madre, prendendo pienamente possesso dei propri beni;
✦ il viaggio di Odisseo presso i Feaci, con la scena della tempesta e l’incontro con Nausicaa (le pagine più belle del poema) ed il racconto delle sue avventure;
 l’arrivo a casa, il progressivo svelamento della propria identità e la strage dei pretendenti.

Da molti autori l’Odissea è interpretata come il ritorno di Ulisse (e quindi del viaggiatore), e come un’esaltazione della sua intelligenza ed astuzia. In realtà si tratta di un poema molto complesso, nel quale si sviluppano differenti temi narrativi e si contrappongono diverse personalità.

Un primo tema è senza dubbio quello del viaggio e soprattutto del mare. Non è un caso che le pagine più affascinanti del poema siano quelle del libro V, che tratta della tempesta e del naufragio di Odisseo: “Gli si avventò un’onda altissima, con terribile impeto, e fece girare la zattera. Lontano, fuori dalla zattera fu sbalzato e il timone lasciò andare di mano: in mezzo si spezzò l’albero sotto l’orrenda raffica dei venti lottanti, lontano la vela e l’antenna caddero in mare. Molto tempo rimase sommerso, non fu capace di tornare subito a galla, sotto l’assalto della grande onda. … finalmente riemerse e dalla bocca sputò l’acqua salsa, amara, che a rivi gli grondava dal capo”.

“Al naufrago, e più in generale all’ospite, occorre sempre fornire accoglienza e rifugio”. Così parla Nausicaa alle ancelle nel libro VI: “Fermatevi ancelle: dove fuggite alla vista d’un uomo? Forse un nemico credete che sia? Ma questi è un misero naufrago, che c’è capitato, e dobbiamo curarcene: vengono tutti da Zeus gli ospiti e i poveri; è un dono, anche piccolo, è caro”.

Il tema dell’ospitalità è uno dei filoni dominanti dell’Odissea e corrisponde proprio al sentimento collettivo di un popolo di naviganti e che è cosciente di come la fortuna, e la ricchezza, possano cambiare rapidamente.

Un secondo tema è costituito dalla complessa personalità di Odisseo, che è ben sintetizzata dalle parole di Atena nel libro XIII: “Furbo sarebbe e scaltrito chi te superasse in tutti gli inganni, anche se è un Dio che t’incontra. Impudente, fecondo inventore, mai sazio di frodi, non vuoi neppur ora, in patria, lasciar da parte le astuzie, e i racconti bugiardi, che ti sono cari fin dalle fasce. Via, non parliamone più, perché ben conosciamo le astuzie entrambi”.

Ulisse è un grande inventore di storie, ed è emblematico che le sue famose avventure non siano narrate dal poeta, ma siano oggetto di un racconto dello stesso Odisseo ai Feaci.

Un terzo tema è costituito da Telemaco e dal complesso processo con il quale, cresciuto senza un padre, deve diventare, suo malgrado, adulto. Come è diverso dal padre! È pieno di incertezza, di dubbi, combattuto tra l’amore verso la madre e il desiderio di riprendere possesso dei propri beni e della propria indipendenza.

I dubbi del giovane lo rendono un personaggio moderno, proprio perché ricco di intime contraddizioni, che sono il frutto del conflitto tra il suo ruolo (quello di principe), il suo affetto verso la madre ed il fatto di non essere all’altezza della forza del padre: non riesce nemmeno a tendere l’arco.

“Non io per Zeus … impedisco le nozze della madre, anzi dico che sposi pure chi vuole, e le offro doni infiniti. Ma non oso cacciarla suo malgrado di casa con perentorio comando: che un Dio non voglia!” (libro XX), ma poi deve imporsi alla madre stessa e diventare finalmente adulto: “Madre mia, quanto all’arco, nessuno più di me fra gli Achei n’è il padrone … su, torna alle tue stanze e pensa all’opere tue, telaio e fuso … Lei stupefatta tornò alle sue stanze, e la prudente parola del figlio si tenne in cuore” (Libro XXI).

Un quarto tema è rappresentato dalla figura di Pallade Atena, che costituisce la vera protagonista del poema. Non solo si deve alla Dea la liberazione di Odisseo da Calypso, ma soprattutto sono i suoi continui consigli e suggerimenti che permettono a Telemaco e a Odisseo di agire con la dovuta accortezza. Non siamo di fronte a fatti meravigliosi ed incredibili (a miracoli), ma è sottostante a tutto il poema il tema dell’intelligenza e dell’indipendenza di giudizio, che è appunto impersonata da Atena.

In un articolo di La Repubblica del 25 novembre 2006, viene commentato il libro XXIII nel quale Penelope riconosce Odisseo. La donna ricerca un segno segreto, che le confermi che l’uomo è veramente Odisseo, perché troppo lunga è stata l’attesa e vuole esserne sicura, “perché Penelope crede in una sola forma di conoscenza: quella dei segni segreti, fondata sulla propria memoria e quella di Ulisse”.

A Telemaco, il quale la accusa di avere “il cuore più duro del sasso”, Penelope risponde: “Creatura mia, il cuore nel mio petto è attonito: non riesco né a dirgli parola né a interrogarlo né a guardarlo nel viso. Ma se è davvero Odisseo che in patria è tornato, oh molto bene e facilmente potremo conoscerci: abbiamo per noi dei segni segreti che noi sappiamo e non gli altri”.

E quando Odisseo le dà il segno (il letto nuziale ricavato all’interno di un grande olivo, che non è possibile spostare per via delle radici), Penelope riconosce il marito e “di colpo si sciolsero le ginocchia ed il cuore”, ed allora entrambi ritrovano l’antico amore: “e a lui venne più grande la voglia del pianto; piangeva tenendosi stretta la sposa dolce al cuore, fedele; … così bramato era per lei lo sposo a guardarlo, dal collo non gli staccava le candide braccia”.
Data la lunghezza dell’articolo, il post è stato diviso in più pagine:

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