La pallida fanciulla e il segreto del coniglietto

Cippi e Ciappi erano due fratellini, un maschietto e una femminuccia di coniglio selvatico, tanto giovani e tanto sbarazzini. Cippi era il più piccolino, era un po’ timido ma molto intraprendente, mentre Ciappi era più grande di un paio d’anni, nata d’inverno e di conseguenza più prudente e notevolmente più saggia.

Vivevano in un bosco al limitare di un grazioso borgo disabitato, dove raramente si inoltravano gli Umani, solo d’estate per qualche escursione turistica, poiché le costruzioni di valore storico attiravano gli appassionati e più curiosi, nonché gli amanti del paranormale che andavano a caccia di fantasmi.

Si diceva, infatti, che il borgo fosse infestato da una pallida fanciulla trapassata tragicamente, tanti secoli orsono, ed è per questo che era disabitato. Gli abitanti del paesino lo avevano abbandonato per disperazione, moltissimi anni prima, in quanto gli eventi terrificanti si susseguivano all’ordine del giorno ed essi avevano deciso che non fosse più possibile viverci.

In realtà, erano stati gli animaletti del bosco a scacciarli, riuniti compatti avevano fatto un gran putiferio affinché gli uomini lasciassero le loro abitazioni, sia di notte che di giorno, giacché volevano riappropriarsi del loro territorio, delle loro vite, seriamente e continuamente minate dalla presenza dell’uomo, soprattutto per quanto riguardava gli animali appartenenti alla cosiddetta “cacciagione”, che venivano indiscriminatamente uccisi per farne banchetti o peggio ancora trofei. Certo non si sarebbe potuti rimediare in completo all’eccidio della caccia, ma almeno quel loro angolo verde sarebbe rimasto incontaminato, tranquillo e prima di tutto vivibile.

E quale felicità regnava in quel bosco! Tutti i giorni, tutti i mesi e tutte le stagioni erano vissuti con la gioia e la novità, con la meraviglia delle variegate manifestazioni della Natura, la quale si trovava libera di esprimersi, di fare meraviglie.

Come ogni anno era giunta l’estate, una stagione tanto amata dagli animaletti del bosco ma purtroppo anche temuta, perché portava con sé anche l’uomo, seppur con poca frequenza, ma del resto un solo uomo cattivo valeva per cinquanta persone buone, o forse più.


Cippi era in brodo di giuggiole, quando arrivava la primavera di già iniziava a scatenarsi, poi con l’estate era davvero inarrestabile. Correva, saltava, danzava… attorniato da tutte quelle meraviglie si sentiva come in paradiso. Gli uccellini cinguettavano, le farfalle volavano, gli sciami d’insetti sembravano scie di magie, e i fiori che si cullavano al vento portavano una magnifica soavità di profumi e di colori, con il polline incantato che nutriva l’aria e la Natura.

Il borgo era tappa fissa, dacché anche lì si risvegliavano le comunità animali che ne avevano fatto dimora per l’inverno, in attesa che il gelo lasciasse il passo ad un’aria più mite e saporita, piena di gioia e di colorato incanto. Tuttavia, giunta la primavera essi lasciavano le loro temporanee casette, appunto per quel pericolo annidato che si potesse improvvisamente accampare qualche Umano, di quella specie non proprio clemente.

Cippi invece ci si recava spesso, seguito da api e farfalle, talvolta anche da qualche suo temerario compagno di giochi, come lo scoiattolo Frulla, che non stava mai fermo, e il cerbiatto Popi, che amava tanto andare all’avventura. Raramente la sorella andava con lui, ma solo perché le riusciva difficile stargli dietro, non sempre Cippi rendeva noti i suoi itinerari e Ciappi doveva occuparsi molto spesso di papà Anacleto, che non respirava più tanto bene e quindi pativa sovente l’affanno. Lei gli preparava delle buone tisane con erbe mentolate e contribuiva così a dargli un poco di sollievo.

Ciappi la coniglietta provvedeva a racimolare le scorte di cibo, a ripulire la loro tana quando necessario e a tener pulito e sgombro l’ingresso, che poteva talvolta otturarsi con i detriti portati dagli acquazzoni. Era difficile che Cippi la aiutasse, era troppo giovane e non aveva ancora imparato il valore della responsabilità e del sacrificio.

Un giorno, appena passato il Solstizio Cippi decise di andare a far visita alla volpe Arianna, che se ne stava tuttora appartata in una casetta del borgo. Aveva partorito da poco e non se la sentiva di smuovere i suoi figlioletti, così Cippi il coniglietto le portava con piacere qualche provvista e dei bei fiorellini per decorare e rinvivire la sua momentanea tana un po’ fatiscente.

Tra una chiacchiera e un buon tè ai mirtilli, si fece subito sera, senza che i due amici se ne accorgessero. Quella volta Cippi era andato da solo al borgo e, vedendo l’imbrunire, fu colto da un’ansia piuttosto veemente. Sapeva che non ci si aggirava nel bosco di notte, soprattutto da soli, e se fosse uscito adesso dal borgo vi sarebbe giunto quando il buio sarebbe sceso tenebroso, ad avvolgere con le sue spire il sentiero fino a casa.

«Puoi restare qui, c’è molto posto e starai sicuramente comodo» gli propose allora Arianna.

«Papà Anacleto e Ciappi si preoccuperanno» valutò lui sospirando, consapevole di averla combinata grossa stavolta.

«Non gli hai riferito che saresti venuto a farmi visita?»

«Sì… no… boh…» Il coniglietto Cippi gettò indietro un’alzata di spalle, non ricordava di averlo fatto.

«Ah ah, sei il solito sbadato!» rise con gusto la volpe.

«Ridi ridi… che la mia punizione sarà esemplare!» schiamazzò lui, sollevato dal suo cruccio perché in fondo non c’era pericolo. Se fosse rimasto con la sua amica per la notte sarebbe stato al sicuro.

«Vieni» lo invitò la volpe Arianna racimolando qualche pianta secca e un po’ di paglia per sistemargli un giaciglio. «Puoi dormire qui e domani, appena l’alba, ti rimetterai in cammino.»

Il coniglietto accettò di buon grado, ormai non aveva alternativa, così si rincantucciò e si mise a sonnecchiare. Era molto stanco, aveva avuto una intensa giornata e il sonno lo colse presto, quasi all’istante.

Passò qualche ora, quando, vicini alla mezzanotte si udì un gran frastuono. Cippi balzò immediatamente in piedi con le orecchie dritte, e Arianna la volpe si affacciò di corsa ad una finestrella di quel secondo piano di una malandata abitazione del borgo.

«Maledizione…!» sbraitò a bassa voce. «Gli Umani!»

Cippi avviò a tremare come una foglia convulsa, terrore e panico si avventarono su di lui come una morsa da cui non riusciva a liberarsi, mentre Arianna la volpe lo incitava più di una volta a seguirlo. Nulla, non ce la fece e la volpe, che era prima di tutto una madre e quindi doveva pensare alla vita dei suoi bambini, li afferrò tutti in bocca e saltò dalla finestra opposta, lasciando a malincuore il suo amico il coniglietto Cippi, che per lo spavento si era come pietrificato. Una statua insomma.

Gli Umani in questione erano del genere peggiore di quello temuto, perché si trattava di un branco di ragazzi ubriachi e molesti, che sotto l’effetto dell’alcool erano dunque più coraggiosi e incoscienti. Erano venuti ad incontrare la pallida fanciulla.

Il frastuono si espanse, fino a diventare un enorme fracasso, un putiferio senza pari. Gli Umani stavano praticamente distruggendo tutto al loro passaggio, lanciavano ogni cosa in aria e urlavano come degli indemoniati, invocando con scherno l’entità che, secondo le leggende udite, padroneggiava empiamente sul luogo.

«Fatti avanti se hai coraggio!» strepitava uno.

«Ora non sei più tanto coraggiosa, eh!» la canzonava un altro.

In tutto questo parapiglia il piccolo coniglietto Cippi era ancora paralizzato, speranzoso che quei chiassosi Umani se ne andassero presto, una volta compreso che lì, non c’era proprio nessun fantasma. I passi però si avvicinavano, inesorabili, per cui, non avendo le forze né l’animo per saltare dalla finestra, pian piano scivolò in un cantuccio, coperto da una sedia, o quello che rimaneva di una sedia, che si era rovesciata a terra in orizzontale e dunque lo riparava un poco.

Venne il fatidico momento e, nell’attimo in cui avvertì uno di essi varcare la soglia, si rimpicciolì su se stesso, facendosi così piccino piccino da quasi scomparire. Tremava tutto, pregava e pregava la sua mamma andata in cielo di proteggerlo, quella mamma che era morta per mano di un crudele cacciatore. E sperava proprio, davvero sperava che non sarebbe stato anche questo il suo destino.

D’un tratto, però, si sentì penetrare dalla finestra una corrente fredda, tanto fredda da sembrare gelida che lasciò tutti perplessi, immobili, compreso il coniglietto Cippi che si chiese subito come fosse possibile, essendo estate inoltrata.

Il silenzio fu tombale, i giovani che, seppur offuscati dall’alcool si resero conto dell’anomalia e non avevano parola, restavano impalati ad osservare quella corrente che si faceva man mano più densa, visibile, come un turbine di luce azzurra intensa che prendeva forma.

«La pallida fanciulla!» urlò uno di loro, e tutti gli altri, rinsaviti dalla sbornia presero a correre come fulmini, sorpassandosi l’un l’altro, tra grida e imprecazioni, alcuni caddero ed altri sbatterono contro muri e travi procurandosi dei gran bei bernoccoli, mentre il coniglietto se la rideva, zitto zitto, pensando a quanto fossero sciocchi gli Umani a volte, che si lasciavano suggestionare così, da qualche lucetta sparsa e un po’ d’arietta insolita.

Eppure, Cippi il coniglietto era in errore, perché quella era davvero la pallida fanciulla.

«Piccolo Cippi, ora puoi uscire dal tuo nascondiglio» lo esortò una voce talmente delicata, che a lui parve quella di un Angelo.

Il coniglietto si scrollò orecchie e musetto all’unisono, sporse la testolina, con fare circospetto dal bordo della seduta della sedia e gli venne pressoché un colpo, allorché vide, dinanzi a sé, la sagoma di una luminosissima e splendida fanciulla che gli sorrideva amorevole.

Qualche istante per riaversi dallo stupore, e la rabbia lo colse a mille. «Sono veramente arroganti e irrispettosi, ora capisco perché la mia gente li ha scacciati, sono anime cattive e devono star lontano da noi…»

«Sono stata io, piccolo Cippi, a mandare via gli Umani, tanto e tanto tempo fa» disse soavemente la giovane. «Da soli non ce l’avreste fatta.»

«Oh…» accennò il coniglietto. «E perché non ti abbiamo mai vista?»

«Non è necessario, piccolo Cippi» rispose dolcemente lei. «L’importante è sapere che siete al sicuro, finché vivrete in questo bosco nessuno vi disturberà mai.»

«Sul serio?» esultò Cippi drizzandosi con tutte le orecchie. «Ma tu… tu sei morta? Sei morta come la mia mamma?»

«No, tesoro mio, e mi dispiace… per la tua mamma non sono arrivata in tempo» sussurrò con mestizia e rammarico.

Il coniglietto sospirò abbacchiato, facendosi scendere le orecchie fino alle zampette. «Però puoi portarle un messaggio per me?»

«Dolce Cippi, qualsiasi cosa tu dica o faccia lei può ascoltarti, è sempre qui con te.»

Cippi abbozzò un mezzo sorriso, non era tanto confortante ma un po’ di sollievo lo aveva avuto. «Spero solo che stia bene, dovunque si trovi.»

«Sta bene, ed anche voi, non hai nulla di cui preoccuparti» rinsaldò l’eterea figura.

A quel punto gli salì qualche interrogativo in testa, e non poté frenarsi dal chiederle: «Tu non vuoi stare con i tuoi cari, anziché occuparti di noi?»

«Tutto mi è caro in questo mondo, tutto ciò che la Natura genera, come voi e il bosco. Questo è il mio compito, è il mio desiderio.»

«Allora non sei un fantasma… dico bene?»

«No, mio caro coniglietto birbante, non sono un fantasma. Sono la Fata protettrice di questa porzione di mondo, proteggo i luoghi naturali e le creature indifese.» Un dolce sorriso e proseguì: «Ma un tempo ero umana, ero una Strega, e quando sarei dovuta salire in cielo mi fu fatta questa proposta, per l’amore che ho sempre nutrito per la Natura e gli animali, la Madre Terra che ho sempre rispettato e protetto, secondo le mie possibilità di allora, in quanto gli uomini di questo borgo erano particolarmente crudeli con gli animali del bosco. È vero che sono morta tragicamente, per mano di uomini malvagi, e la mia morte è diventata una leggenda, perché quando ricomparivo per difendervi i colpevoli mi riconoscevano, lo hanno tramandato ai loro figli, e i figli dopo di loro.»

«Allora sei un Angelo…» concluse estasiato. «Il nostro Angelo Custode.»

«Puoi chiamarmi come desideri, mio dolce coniglietto, ma ora va’. I tuoi cari saranno in pensiero.»

Il coniglietto Cippi si aprì in un largo sorriso, ma prima di zampettare fuori le rivolse un’ultima domanda: «Posso parlare di te ai miei amichetti del bosco?»

«Meglio di no» rifiutò ma con dolcezza «altrimenti non farebbero più debita attenzione. Come ti ripeto non posso arrivare ovunque ed esserci ovunque, com’è accaduto con la tua povera mamma. È preferibile che io rimanga una leggenda, per il bosco e per gli uomini. Se sei d’accordo, sarà il nostro piccolo segreto.»

Il coniglietto Cippi annuì con fervore e, tutto impettito, fiero e orgoglioso di essere custode di un così prezioso segreto, riprese saltellando la via di casa, pensando alle infinite meraviglie che la vita riservava. Le creature sulla Terra non erano sole, c’era sempre qualcuno che le proteggeva da lassù, che vegliava su di loro, e anche se la vita poteva essere crudele, se la vita comportava comunque la morte, inevitabilmente, la sicurezza di essere silenziosamente accuditi era fonte di grande gioia.

E capì, capì che in fondo gli Umani non erano tanto sciocchi, loro lo sapevano e lo avevano sempre saputo, ed era per questo che si sentivano tanto forti e sicuri di sé. Sapevano che qualcuno ci sarebbe sempre stato, che qualcuno li avrebbe sempre amati.

La pallida fanciulla

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