Mi chiedi cosa posso fare
con la polvere delle mie ali?
Semplice, posso creare sogni…
Conosco le vostre storie, leggo nei vostri cuori…
E tu, viandante,
che stanco cammini per questi sentieri,
fermati per un momento e parlami dei tuoi desideri.
Vorresti anche tu avere un sogno tutto tuo?
Guardarlo e rimirarlo, giorno dopo giorno,
notte dopo notte,
rispecchiarti in esso fino a conoscerlo così bene,
da trovarvi la vera essenza di te stesso
e farla vivere per sempre?
Io posso creare un sogno per te, il tuo sogno…
Ora, dammi la tua mano e seguimi,
cammineremo insieme attraverso le lande del Somnium…
“Chiudi gli occhi, Astrea, e sogna…”
Buio. Oscurità. Astrea sussultò. Qualcosa di morbido le aveva urtato la caviglia. Si chinò per controllare e sotto le dita sentì il soffice pelo di Killian, il suo furetto. Lo raccolse e se lo strinse al petto.
Mosse alcuni passi alla cieca, poi una luce fioca comparì dal nulla davanti a lei. La luce acquistò consistenza, fino a diventare una brillante sferetta azzurra che girò attorno alla maga due volte, e poi si diresse a velocità sostenuta in avanti.
Astrea non era sicura di doverla seguire, ma non aveva niente di meglio da fare, quindi la seguì; la sferetta la condusse nei pressi di un arco e andò ad incastonarsi sull’alta volta per poi scomparire. La maga guardò verso l’arco.
Due colonne di marmo bianco screziato di nero sorreggevano un architrave di malachite. Due gargolle di pietra si fronteggiavano immobili ai lati dell’arco.
Astrea sorrise tra sé, non era la prima volta che attraversava una soglia in sogno, cosa la attendeva dall’altra parte? Poteva fidarsi delle promesse di una fatina dispettosa?
Killian, con un salto, le sfuggì di mano e decise per lei, infilandosi tra le due colonne. Astrea lo chiamò allarmata: «Killian!» Infine fece la sua scelta. Attraversò l’arco.
Una luce violenta la investì. Gli occhi le bruciarono. Poco a poco le sue pupille si abituarono alla luce e lei fu in grado di vedere il luogo in cui si trovava. Un bosco! Ma un bosco strano… dai rami degli alberi pendevano caramelle e cioccolatini, sbuffi di zucchero a velo sorgevano dal terreno, mossi da una leggera brezza profumata di biscotti appena sfornati. Massi di cioccolata costeggiavano un rivo di succo di lampone; sparsi sul prato di menta piperita, facevano bella mostra di sé ciottoli di zucchero screziato di caramello.
Killian sembrava impazzito. Correva per tutto il prato, leccando a scatti un ciottolo, un cespuglio o un cioccolatino caduto a terra.
Astrea non poté trattenere una risata. «Bello scherzo che mi hai combinato, Isobel. Ehi, Killian, di’ la verità, eri d’accordo con lei?»
«No, lui non c’entra affatto.» Una voce melliflua interruppe le risa gioiose della maga. Un angelo comparve al suo fianco.
Astrea sussultò e fece un salto indietro. «Chi sei?»
L’angelo sorrise. «Il mio nome è Nitika, sono l’Angelo della dolcezza.» Si avvicinò alla maga che questa volta non si ritrasse. «Questo sogno è il dono di una fata. Un dono fatto sia a me che a te. Da molto tempo desideravo incontrarti… Vieni.»
Nitika prese la mano di Astrea e la condusse con sé, all’interno del bosco, mentre Killian rimaneva a leccare e mangiare i dolci che trovava in giro e a sorbire, con enorme soddisfazione, il nettare fruttato dal ruscello.
«Che posto è mai questo?» domandò Astrea.
Nitika le sorrise. «Ogni dolce di questo luogo è la concretizzazione di un gesto gentile fatto dalle creature del mondo reale verso i loro simili. Un cuore gentile è la cosa più dolce che esista al mondo. Vedi questi alberi carichi di dolci? Sono il frutto della gentilezza che opera nel mondo. Ma voglio mostrarti una cosa.»
Il bosco finì e le due creature si ritrovarono sull’orlo di un orrendo abisso che emanava un terribile fetore.
Storcendo il naso Astrea chiese: «Cos’è questo… questo…»
«Questo è l’Abisso dove va a finire tutta l’amarezza causata dai duri di cuore; quelli incapaci di un gesto gentile, gli egoisti, gli ipocriti. Ogni giorno che passa il fetore dell’Abisso aumenta sempre più; ma tu, Astrea, con i tuoi modi gentili verso gli amici e, soprattutto, verso gli sconosciuti, contribuisci a tenere l’orrore dell’Abisso sotto controllo. In ognuno di noi sono presenti sia il bene sia il male, ma dentro di te è il primo che prevale. Riuscendo a mantenere il tuo cuore puro avremo tutti la speranza che la gentilezza dilaghi. Ogni gesto gentile richiama un gesto gentile, come marea che monta e dilaga dolcemente nei cuori degli Uomini. Le cattiverie sono invece come onde impetuose che distruggono tutto ciò che trovano sul loro cammino. Ecco…» Nitika staccò una piuma candida dalle sue ali. «Spesso la tristezza cancella la gentilezza dai cuori ed io non posso permettere che nel tuo cuore alberghino scintille di tristezza. Ogni volta che ti sentirai triste o impaurita, solleva questa piuma al cielo ed esprimi un pensiero gentile. Due candide ali compariranno sulle tue spalle, finché tu lo vorrai, e ti permetteranno letteralmente di volare oltre ogni tristezza.»
Astrea accettò la piuma. Nitika le parlò ancora: «Mi raccomando, non usare la piuma prima di aver appreso il segreto del volo degli angeli. Presto saprai come fare.» L’angelo sorrise un’ultima volta. «Salutami la piccola fatina.»
Poi Astrea fu sollevata in aria da un vortice d’argento. Killian la svegliò leccandole le guance. Astrea rise per il solletico e si sollevò seduta. Si era addormentata sul divano.
Dove fino a poco prima aveva posato la testa, una bianca piuma delicata risaltava sul fondo color fragola del divano. Astrea prese la piuma e la rigirò delicatamente tra le mani. Una promessa di felicità, ed un segreto…
“Chiudi gli occhi, Sylesia, e sogna…”
Notte. Una città sconosciuta. Per le strade deserte una leggera brezza spazzava i vicoli bui. Dalle finestre di alcune case, la luce tremolante di una candela rischiarava a malapena il selciato.
Sylesia camminava lentamente; ogni tanto si voltava indietro poiché le sembrava di sentire un rumore di passi alle sue spalle. Presenze dietro di lei.
Non si era mai sentita così sola in un sogno. Sì, era sola in quel sogno, perché per la prima volta il sogno era interamente suo.
La ladra di sogni affrettò il passo. Vicoli bui e deserti si aprivano davanti a lei, sempre nuovi. Si chiese che posto fosse quello. Non aveva mai percorso un sogno così… così… vuoto. Ecco, vuoto le sembrò l’espressione più adatta.
All’improvviso i passi si fecero più insistenti. Sylesia provò ad utilizzare i suoi poteri di Ladra, ma non accadde nulla. Iniziò a correre. Le sue gambe pesavano. Una svolta, una piccola piazza…
«Sylesia, mia piccola creatura, perché fuggi?» Un uomo alto, dalla pelle chiarissima, le comparve innanzi. I suoi occhi brillavano come stelle d’inverno, il suo mantello cangiava di attimo in attimo, riflettendo i sogni di tutti gli uomini della Terra ed oltre…
«Chi sei?» Nell’attimo stesso in cui lo chiedeva, Sylesia si rese conto di conoscere bene l’uomo che le stava dinanzi. Sussurrò: «Tanek…»
«Sì, uno dei Sette Immortali. Vieni, piccola.» Il Signore dei Sogni le prese delicatamente una mano e la condusse con sé, di casa in casa, sbirciando dalle finestre.
Le mostrò i sogni degli Uomini e delle Donne, i sogni dei Gatti e degli Dèi. Le parlò del mondo dei sogni, dei fili che legano i due mondi, quello reale e quello onirico, della poesia che entrambi racchiudono, di come non possono vivere l’uno senza l’altro. Sylesia si sentiva al sicuro al suo fianco, ne sentiva il calore, la forza, il potere.
Poi Tanek le parlò di un dono. «Piccola mia, mia piccola scintilla di Sogno. Da lungo tempo sono intimo amico di Niamh, Regina suprema delle Fate, e spesso mi è capitato di passare nel piano d’esistenza chiamato Faerie per incontrare la mia amica. Poiché questo sogno ti è stato donato da una Fata, ti chiedo di ricambiare gentilmente il favore portando questo involto nella realtà di Faerie. Ti mostrerò la strada, ascolta.» Il paesaggio cambiò e i due si trovarono in uno spiazzo d’erba, lontano da ogni centro abitato. La luna ricamava coi suoi raggi trine di luce lattescente tra i fili d’erba.
Tanek porse un piccolo involto a Sylesia e le indicò un punto lontano con la mano. «Vedi quel tronco d’albero isolato?» In lontananza, nell’oscurità, si stagliava un vecchio moncone d’albero. «Dovrai recarti laggiù e posare questo involto ai piedi del tronco. Una Fata uscirà dalle radici della vecchia pianta e prenderà il pacco. Molti oggetti lascerà ai tuoi piedi in cambio, gioielli e preziosi, ma tu prendi solo la vecchia chiave arrugginita e riportala indietro.» Detto ciò, incitò con una piccola spinta la ladra.
Sylesia si avviò verso il tronco e, arrivata nei pressi, posò a terra l’involto come Tanek le aveva detto di fare.
Subito una minuscola Fata verde dall’aria birichina, fece la sua comparsa tra le radici contorte del vecchio tronco. Sorrise a Sylesia e prese velocemente l’involto, poi si ritirò di nuovo all’interno del tronco e sparì. Al suo posto comparvero rubini e diamanti, anelli e collane di una bellezza abbacinante. Sylesia fu tentata da tutti quei tesori, ma memore delle parole del Signore dei Sogni, prese solo una piccola chiave arrugginita. Tornò dal suo Signore e gli porse la chiave.
«Ben fatto, piccola mia.» Tanek sorrise e le stelle nei suoi occhi brillarono. «Questa chiave ora è tua. Ti permetterà di trovare i passaggi che conducono a Faerie, ma fai attenzione, è pericoloso addentrarsi in quelle terre senza una guida. Più una cosa è bella, più complessa è la sua natura, e pericolosa, e rischiosa. Non entrare a Faerie finché non ne avrai appreso tutti i segreti.» Detto questo Tanek disparve dalla sua vista, e Sylesia fu presa in un vortice d’argento e trascinata fino al mondo della Veglia. Al suo risveglio l’alba l’accolse coi suoi raggi dorati.
«Che strano sogno!» Poi sentì qualcosa di freddo nella sua mano. L’aprì. Una piccola chiave arrugginita le premeva sul palmo. Sylesia sorrise. Un sogno tutto suo, ed un segreto tutto suo…
Data la lunghezza dell’articolo, il post è stato diviso in più pagine:
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