ღ★ NELLA STORIA… ★ღ
Origini storiche:
La Fata è presente nelle fiabe principalmente di origine italiana e francese, ma trova comunque figure più significative nelle mitologie del Nord Europa (Irlanda) e dell’Est Europa. Nei miti di origine dell’Europa meridionale (senza influenze celtiche), è totalmente sovrannaturale, cioè non ha nulla di umano, se non l’aspetto.
Le Fate italiane sembrano ereditare i loro poteri e il loro aspetto da alcuni personaggi della mitologia classica, principalmente dalle Ninfe e dalle Parche. Come le Ninfe, esse sono Spiriti naturali che hanno sembianze di fanciulla. Come le Parche presiedono al Destino dell’uomo, dispensando vizi o virtù.
Le prime Fate nella Storia appaiono nel Medioevo, come proiezione delle antiche Ninfe, ma vengono per la prima volta ufficializzate verso la fine del Medioevo, dove prendono l’aspetto classico delle dame dell’epoca, che indossavano ingombranti copricapi conici (hennin) e lunghi abiti colorati. Man mano, venne attribuita loro la verga (bacchetta) magica, che possiamo ritrovare anche nell’Odissea (Circe).
Successivamente, ogni fiabista ha aggiunto particolari al loro carattere. Una mirifica e significativa rappresentazione di come sono le Fate, la troviamo ne La bella addormentata sia di Perrault che dei Fratelli Grimm, ed ancora in Pinocchio, dove alle Fate viene ufficialmente assegnato il colore blu, colore del sovrannaturale e della Magia.
Le Fairies
Fondamentalmente, l’assonanza ha portato ad associare la Fata alla Fairy inglese e celtica (presente in diverse commedie dello stesso William Shakespeare), ovvero ad alcuni esponenti del Sidhe (il regno ultraterreno del Popolo Fatato delle leggende celtiche), piccoli e con le alucce, nonostante che, secondo molti, con costoro non abbiano assolutamente a che fare: la differenza sostanziale consisterebbe nel fatto che le Fate desiderano interagire con gli Umani, mentre le Fairies preferiscono rimanere invisibili all’occhio umano.
Alcune credenze locali
Nei racconti popolari della Romagna, un posto di rilievo è dedicato agli Esseri Fatati.
Uno studio pubblicato nel 1927 da Nino Massaroli (Diavoli, diavolesse e diavolerie in Romagna) rappresenta quasi sempre la Fata, quale fiorisce nelle novelle del focolare romagnolo, sotto forma di una veccia-vecchina; pulita, linda, dall’aria casalinga e simpatica di nonnina (…) Essa ha un preciso e gentile incarico, un esatto compito: disfare i malefici delle streghe; difendere le creature prese di mira dai geni del male, dai mostri della notte (…) Le fatine romagnole amano mostrarsi sotto forme piccolissime (…) La fata romagnola abita nella cappa del camino, sulla quercia dell’aia, nei pignattini del pagliaio (il pagliaio romagnolo s’erge sull’aia, a forma conica, retto da un’asta interna, sulla cui cima si pone un orinale od un pignattino per scongiurare le Streghe).
Le Fate romagnole dispensavano protezione in particolare ai bimbi appena nati. Per ricevere la loro benevolenza, occorreva svolgere vari rituali scaramantici, come quello di offrire pani bianchi o rosate focacce durante il loro passaggio, che in vari luoghi dell’Alpe di Romagna, avviene alla Vigilia dei Morti, la notte di Natale o dell’Epifania, oppure recitare paròl faldédi (parole fatate) ed anche formule d’invocazione, che in Romagna Toscana usavano dire a propiziarsi la Fata del mattino nel mettersi in viaggio, e che vive tutt’ora in bocca ai fanciulli romagnoli: «Turana, Turana – rispondi a chi ti chiama – di beltà sei regina – del cielo e della terra – di felicità e di buon cuore.»
Alle Fate è dedicato un racconto ambientato nelle colline fra Castrocaro e Faenza:
«Sotto Monte Sassone, accanto ai ruderi del castello della Pré Mora (Pietra Mora), nel banco dello spungone sullo strapiombo della voragine del rio della Samoggia, fra le colline a monte di Faenza e Castrocaro nella zona di demarcazione dell’antico confine fra la terra del Papa e quella del Granducato, sono scavate le quattro grotte delle fate (chiamate anche busa – buca – e camaraz – cameraccie). Questa pietra era un prodigioso palazzo, nei lontani millenni delle fate che lo disertarono quando l’uomo non credette più alla poesia, ma vi lasciarono, pegno del ritorno, i loro magici telai d’oro, su cui l’anima tesseva le canzoni che nessuno sa più! E perché l’uomo non ne facesse sua preda, confidarono la guardia dei telai a un biscione che sibila minacce e con un soffio precipita nella voragine le ladre scalate, quando mai tentassero le porte inviolabili.» (L. de Nardis, La Piè, 1925)
Aspetto storico
Le Fate del Medioevo sono tutte di sesso femminile, ed hanno le sembianze di una donna non tanto alta e molto gracile, dalla pelle chiarissima, quasi perlacea. Il loro abbigliamento è quello tipico delle donne del XIV e XV secolo, con il caratteristico Hennin (lungo cappello conico o a tronco di cono) ed abiti variopinti. Ciascuna Fata indossa un abito di un unico colore, che rispecchia la sua personalità. Inoltre portano gonne lunghissime per coprire eventuali deformità (quasi ogni Fata presenterebbe infatti, una parte del corpo bovina o caprina, come code, zoccoli, ed alcune persino la testa), ed i cappelli sono lunghissimi per sembrare più alte.
Vita
Secondo le leggende medioevali, le Fate vivono notevolmente a lungo, ma una volta terminata la loro vita esse non muoiono, bensì si incantano nei propri palazzi, dove restano per l’eternità (da Perrault). Nonostante, quindi, possano raggiungere età molto avanzate, hanno la possibilità di mostrarsi sotto qualsiasi spoglia esse vogliano, che sia di bambina (da Collodi), di giovane o di anziana. Hanno infatti, pieni poteri di trasformarsi in ciò che vogliono.
Anche all’epoca la nascita delle Fate era avvolta nel mistero: alcune ipotesi ritennero che le Fate fossero prodotti spontanei della Natura od anche che avessero una madre comune, una specie di ape regina che le originava tutte. Varie fonti letterarie (Basile, Calvino, Perrault ed altri), ritenevano che le Fate abitassero sovente in palazzi sotterranei estremamente lussuosi, accessibili solamente da personaggi da esse stesse prescelti. Non era neppure raro che le Fate sposassero Umani, i loro figli tuttavia raramente ereditavano poteri.
Caratteristiche
Il loro compito era di vegliare sulle persone come Angeli Custodi, pertanto di dispensare pregi e virtù, tramite le loro fatagioni (Basile), e di proteggere i bambini. Venivano appunto definite “comari” (o “madrine” nell’accezione moderna), e si prendevano cura di un figlioccio che veniva affidato dai genitori stessi, oppure da esse prescelto. Spesso le Fate sceglievano il proprio protetto sottoponendolo ad una prova di carità, solitamente tramutandosi in mendicanti bisognose (vedere Le Fate di Perrault).
La loro indole, tuttavia non era univocamente buona. Oltre alla vanità e all’egocentrismo che le contraddistinguevano, erano nutritamente permalose ed irascibili, un solo torto poteva scatenare la loro ira, ed il loro dispetto poteva trasformarle in furie e spingerle a lanciare maledizioni. Avevano dunque oltre ad un ruolo di premiazione, anche un ruolo fortemente punitivo.
Le Fate nelle arti figurative: la Fairy Art
La Fairy Art, o Fairy Painting, è un movimento artistico fiorito intorno alla fine dell’800, nell’Inghilterra vittoriana, molto influenzato dal periodo romantico, e riguarda la raffigurazione di Fate in pittura, illustrazione e fotografia: durante l’Età Vittoriana, la raffigurazione artistica delle Fate conobbe il suo periodo di massimo splendore, con artisti come Arthur Rackham e John Anster Fitzgerald.
Fate di Cottingley
Nel 1917, due ragazze, Frances Griffith ed Elsie Wright, scattarono alcune foto che le ritraevano in compagnia di Fate. Sul primo momento, considerata mera fantasia infantile, nessuno diede credito alla storia delle bambine, neanche le loro madri, che difatti tennero segrete le foto. Nel 1919 però, la madre di Elsie Wright inviò le fotografie della figlia ad un’associazione teosofica.
Sir Arthur Conan Doyle si interessò al caso, scrivendo un libro: The Coming of the Fairies. La storia aveva raggiunto una portata enorme, negli anni ottanta, ma poco prima di morire, le protagoniste dell’episodio rivelarono la verità: il tutto fu soltanto il frutto di uno scherzo, le due bambine avevano ritagliato del cartone dandogli varie forme di Fate, per poi colorarlo ed aggiungergli dettagli.
Nel 1986, Francis, che era in età piuttosto avanzata, confessò la falsità delle prime quattro foto, ma aggiunse che la quinta era vera, fu l’unica ad essere stata realmente scattata in compagnia di Fate e Gnomi veramente esistenti.
Le Fate dei Monti Sibillini
Le Fate dei Monti Sibillini animano le narrazioni, le leggende e le tradizioni di Magia e simbolismo, legate al territorio compreso tra il Monte Vettore e il Monte Sibilla.
Descritte come giovani donne di gradevole aspetto, abitatrici della grotta della Sibilla, Oracolo degli Appennini, esse costituivano la sua stessa corte. Dedite all’insegnamento delle arti femminili del tessere e del filare, amavano scendere nottetempo a valle, per intrattenersi nelle danze con i pastori locali, seguendo scrupolosamente il rituale di ritirarsi in montagna prima del sorgere del sole.
Queste Fate per secoli hanno riempito le valli dei Monti Sibillini, quei monti “velati d’azzurro”, come li definisce Leopardi al centro della “Marca”. Le leggende nascono qui, in questi luoghi aspri e duri, fatti di monti orridi e valli assolate, meta e crocevia nel tardo Medioevo e nel Rinascimento, di Maghi e Negromanti, ma anche di cavalieri erranti e uomini di cultura.
Certamente le suggestioni della letteratura cavalleresca europea, con tutte le sue leggende fantastiche e demoniache, con i suoi ammaliamenti e sortilegi, influiscono non poco sulla formazione di queste leggende. Secondo le fonti storiche e letterarie, le loro origini vanno ricercate nel fiorire, all’interno dello Stato Pontificio, di superstizioni ed eresie in relazione ai riti pagani e, soprattutto, nella creazione letteraria nel secolo XV del “Guerrin Meschino” di Andrea da Barberino, che conduce il suo eroe tra questi monti “magici”.
Sono poi i menestrelli o trovatori a passare di villaggio in villaggio per narrare in versi queste fiabe incantate, che labbra sapienti ci hanno in seguito tramandato. Ma nei borghi dei Sibillini la trasmissione orale di queste leggende porta alla formazione di diverse tradizioni narrative.
A Pretare ad esempio, si racconta di soavissime Fate scintillanti, ancelle della Sibilla, bramose di ballare con i giovani più avvenenti del paese (tanto da far dire nell’Arquatano: “ballatori a le Pretare”). Queste leggiadre fanciulle scendono solo di notte… naturalmente dalla Grotta delle Fate, la lunga ferita che taglia il massiccio del Vettore facendo ombra all’Ara della Regina.
Fino a qualche anno fa, alcuni anziani di Pretare giuravano di averle sentite fendere la roccia con i loro piedi caprini (elemento classico per le leggende di ambientazione bucolica), ben nascosti sotto i lunghi veli e chissà… magari di aver intrecciato con loro qualche passo di “saltarello”.
✾ La Leggenda della Sibilla Appenninica ✾
(Guerrin Meschino)
C’era una volta, nel cuore di una splendida vallata ai piedi del Monte Vettore, un paese chiamato Colfiorito. All’interno di una grotta del monte (detta “La Grotta della Sibilla”, ma chiamata anche “di Maga Alcina” o “delle Fate”), viveva, assieme alle sue ancelle, la malvagia Sibilla, profetessa condannata da Dio a vivere nella profondità della montagna fino al Giudizio Universale, in quanto voleva diventare la madre di Cristo. Un giorno la perfida Maga, irritata, provocò una frana che ricoprì completamente il paese di Colfiorito.
Molto tempo dopo, un gruppo di pastori solitari giunse sul posto in cerca di verdi pascoli, ma anche di giovani fanciulle con le quali trascorrere il resto della loro monotona vita. Una notte, con loro grande stupore, le ancelle della Sibilla uscirono dalla grotta e discesero il monte Vettore per incontrare i pastori. Al contrario della Sibilla, le Fate erano delle donne bellissime, ed ognuna simboleggiava un elemento della Natura (acqua, fuoco, neve, prati, boschi…).
La discesa delle Fate si ripeté ancora per altre sere: le fanciulle raggiungevano di nascosto i pastori, con i quali ballavano il saltarello, per poi scappare alle prime luci dell’alba. Una notte però, un pastore, incuriosito, andò a guardare sotto i fastosi vestiti della propria amata, e con sua enorme sorpresa notò delle zampe di capra. Le Fate, avendo capito che il loro segreto era ormai svelato, fuggirono e tornarono nella grotta, dove c’era però la perfida Sibilla che le stava aspettando per imprigionarle.
Pochi giorni dopo, giunse nel luogo dove si erano stabiliti i pastori, un valoroso cavaliere chiamato Guerrin Meschino, proveniente dalla città di Corfù in Grecia. Egli era in cerca della Sibilla, per chiederle notizie dei propri genitori, che egli aveva perso in età infantile.
I pastori decisero di chiedere aiuto al Guerrin Meschino, il quale giunse dopo pochi giorni al cospetto della Sibilla, la quale si innamorò subito di lui. Ma la perfida Maga gli sottopose tre domande: se il cavaliere avesse saputo risponderle, la donna avrebbe esaudito i suoi desideri. Con grande astuzia, il Guerrin Meschino riuscì a risolvere i tre indovinelli e a rompere l’incantesimo che affliggeva le Fate.
La leggenda ci racconta inoltre che i pastori e le loro giovani donne, fondarono un paese sulle rovine di Colfiorito, che chiamarono appunto Pretare. Ma il mito non finisce qui, infatti alcune versioni narrano che la perfida Sibilla sposò il Guerrin Meschino e che, ancora oggi, a Pretare si possono incontrare i loro lontani nipoti.
Data la lunghezza dell’argomento, l’articolo è stato diviso in più pagine:
★ Info Post ★