Tyche, Dea della Fortuna

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Data di pubblicazione: 18 Dicembre 2012 ©Giardino delle Fate

Tiche, o Tyche, era una divinità greca tutelare della fortuna, della prosperità e del destino.

Tiche era considerata come una delle Oceanine, figlie del Titano Oceano e della Titanide Teti, ma in altre versioni è la figlia di Ermes ed Afrodite. Non possiede un proprio mito, e non si narrano leggende su di essa.

La Dea veniva raffigurata come una donna completamente nuda, con gli occhi bendati, che teneva nelle mani una cornucopia, simbolo di abbondanza, rovesciata, di cui essa spargeva a caso il contenuto. A volte teneva in braccio il giovinetto Pluto, Dio della Ricchezza.

Poteva anche essere rappresentata come una donna cieca e calva, cosicché non fosse possibile afferrarla per i capelli, e con le ali ai piedi, per poter fuggire più velocemente. Con uno dei piedi si posava sopra una ruota che girava senza posa (la Ruota della Fortuna), mentre l’altro era proteso in aria, come per significare che non avesse fondamento su cui posarsi.

Personificazione del destino e della fortuna, rappresentava tanto la buona quanto la cattiva sorte. La Dea era venerata ed onorata quale patrona del pubblico benessere, e solo più tardi assunse un significato più generico, identificandosi con la Sorte, la Dea Destino, che aveva il potere di decidere la fortuna dei singoli umani e della collettività, regolando gli eventi al di fuori dell’opera umana.

La sua attività è affine a quella delle Moire, ma sentita piuttosto come divinità benevola. Man mano che decresceva la fede delle prime divinità, cresceva l’importanza del Destino, e Tiche arrivò ad essere considerata come Dea nell’epoca ellenistica.

Tiche decide il destino dei mortali, come giocando con una palla che rimbalza e che simboleggia l’insicurezza nelle decisioni. Nessuno deve dunque elogiarsi della sua buona fortuna o trascurare di ringraziare gli Dèi, altrimenti ciò conduce all’intervento di Nemesis (“giustizia compensatrice” o “giustizia divina”).

Infatti originariamente la Dea greca distribuiva gioia o dolore secondo il giusto, e quindi con “nemesi” si intende evento, situazione negativa che segue un periodo particolarmente fortunato, come atto di giustizia compensatrice distribuita dal Fato. L’idea che soggiace al termine è che il mondo risponda ad una legge di armonia, per cui il bene debba essere compensato dal “male” in egual misura.

A lei Zeus diede il potere di decidere la sorte di questo o quel mortale. A taluni essa concede i doni contenuti nella cornucopia, ad altri nega persino il necessario. Tiche è irresponsabile delle sue decisioni e corre qua e là facendo rimbalzare la palla per dimostrare che la sorte è cosa incerta.

Ma se capita che un uomo, che essa abbia favorito, si vanti delle sue ricchezze né mai ne sacrifichi parte agli Dèi, né se ne serva per alleviare le pene dei suoi concittadini, ecco che l’antica Dea Nemesi si fa avanti per umiliarlo.

Ignorata dalla tradizione omerica, Tiche è menzionata invece da Esiodo e, come anzidetto, la sua importanza crebbe in età ellenistica, tanto che le città avevano la loro specifica versione iconica della Dea, che indossava una corona raffigurante le mura della città stessa.

Ad Antiochia e ad Alessandria in particolare, venne venerata come Dea protettiva della città. Il suo culto è individuato a partire dalla seconda metà del V secolo a.C. ad Antiochia, quando lo scultore Eutichide, realizzò la famosa “Tiche” di Antiochia.

dea fortuna

Tiche fu accolta dai Romani sotto il nome di Fortuna, la Dea del Caso e del Destino, considerata colei che portava la fertilità e la fortuna, e le attribuivano come figlia la Necessità.

Fortuna era una divinità antica, forse precedente alla fondazione di Roma, anche se i romani ne attribuivano l’introduzione del culto a Servio Tullio, il re che più, fra tutti, fu favorito dalla Fortuna. Si racconta anche che essa lo avesse amato, benché egli non fosse che un mortale. Una statua del re Servio Tullio si ergeva nel tempio della Dea.

Tiche appare su alcune monete dell’era pre-cristiana, soprattutto della regione dell’Egeo. Nel Medioevo la si rappresentava con il corno dall’abbondanza, con un timone (“è lei che pilota la vita degli uomini”), ora seduta, ora in piedi, il più delle volte era cieca.

La Fortuna è stata definita per la prima volta rigorosamente da Aristotele: per il filosofo la fortuna è una causa accidentale nelle cose (“in quelle cose che non avvengono né sempre né perlopiù”), che avvengono per scelta in vista di un fine. Per Aristotele la Fortuna è una particolare forma di caso.

Il filosofo Severino Boezio, nel “De Consolazione philosophiae”, paragona la Fortuna ad una ruota che fa girare la vita degli uomini: essi infatti a volte si trovano in una posizione favorevole, e a volte no, perché la Fortuna, filosoficamente, rimanda alla casualità, a quel qualcosa contro cui la volontà umana nulla può fare.

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