Memorie di una Fata che si trasformava in Lupo

Articolo trasferito dalla precedente versione del sito https://giardinodellefate.wordpress.com

Data di pubblicazione: 12 Settembre 2011 ©Giardino delle Fate

 Fayette, una Fata che subì una maledizione… con un incantesimo che la trasformava in lupo, nei momenti più bui della sua esistenza… costretta a cibarsi di carne e sangue, a vagare nelle tenebre, a spargere terrore tra gli esseri più infimi e malvagi del Mondo di Mezzo…

… Preludio …

Senti anche tu quelle grida? Mi chiamano. È da tanto che sono nascosta… E ci ho provato ad essere invisibile, ma loro tornano, mi accerchiano, sono indistruttibili… Mi parli di città e di antiche leggende, vedi quel sangue e ti commuovi. E a volte ti invidio, io vorrei schiacciarli. Ne ho la potenza, rammenti?

Aspetta, fai silenzio… eccone uno, devo ammansirlo: vieni, tesoro, vieni dalla tua padrona… Fatto, ci vuole poco, hai visto? Perché tremi, sono i miei compagni in fondo, una triste condanna, ne convengo, ma solo così potrò essere eterna. Ti ho mai raccontato cosa accadde? Seguimi, perché anch’io non ricordo bene. Gli umani mi confondono.

Camminavo nei boschi o ero una bambina, è passato tanto tempo, immagino fosse giorno e per quello voglio la notte. Sempre.
Vuoi da bere? È un tè alle erbe, ma dov’ero? Un cane abbaiava, e poi corpi, e deformità, e strani esseri. Una luce rossa, ecco. Un lampo infernale. Ma forse mi sbaglio, sono vecchia non credere, anche questa è magia. La mia.

Camminai nelle valli, a lungo, mi ero persa tra la folla. Gente impazzita che correva, un odore infestante ed un angelo che moriva. Ne conservo ancora una piuma. E piangevo, ma ero come assente, non lo trovi strano? Io, una fata, che vagavo inerte. Gli dèi sono creature bizzarre e vollero divertirsi, mettermi alla prova, credo.

Colui che ho rifiutato vive tra i rami, sembra un rigagnolo rinsecchito, ma poi si trasforma ed urla, soffoca, affoga. Per poi tornare terra. Io lo conosco e vado spesso a trovarlo. Tu sei al sicuro. Ma divago, divago sempre. Perdonami, tra poco danzerò alla luna. Devo sbrigarmi.

Ero giovane allora, mi incatenarono, ne ho ancora i segni, li vedi? Pensavano fossi una bestia, malvagia, solo perché non riuscivo a chiudere la bocca. Ero verde, trasparente, ignara, eppure la mia furia eruppe. Cantai di nuovo, conosco incantesimi, li uccisi. Tutti. Qualcuno fuggì. Mi dissero che rimase un figlio, ma non l’ho mai visto.

Ed ora sono qui, chiusa in un libro. Vago tra i vicoli di questa rovina e aspetto. Mi hanno dato compagnia, quei lupi che cercarono di corromperti.

Sono miei amici, ogni tanto li sfuggo, per poi tornarvi. Ho provato, te l’ho detto, ma una fata deve essere avvenente. Triste, mio caro amico, non inganna nessuno. Aspetta, devo sciogliere i capelli. Eccoli, sono arrivati…

… Bacio di Sangue …

E lì vidi, un bacio di sangue. Corsi via, la mia curiosità promossa furia inspiegabile. Caddi a terra, costretta a frenarmi, respirare, prendere aria.

Cos’era accaduto quella notte? Distesa tra i miei libri pensavo al passato, radunavo nuove prede ed infilavo perle. Un altro ricamo per dei serpenti. Mi annoiavo in verità, niente di confuso, solo i miei lupi taciturni. Decisi di uscire dalla biblioteca, sembrava fatiscente e zeppa di ricordi, era tempo di sognare.

Cercai il mio amico, alcuni lo chiamavano vampiro, altri ne temevano lo sguardo, per me era solo un viandante. Fatti pochi passi tra quei vicoli angusti, la città sembrava così stretta, mi sembrò di scorgere un fruscio: era lui. Lo seguii di soppiatto, tanto per giocare, invece mi accorsi delle sue intenzioni. Era ebbro della straniera e voleva nutrirsene.

Li spiai da una finestra, anch’io so volare, e tutto quell’ardore corrose la mia anima. Gelosia, forse? Dovevo capire. Corsi via vi ho detto, in preda a spasmi incontrollabili. Seduta poco dopo vicino al fossato, riflettevo. E poi li sentii. Ancora. Erano arrabbiati. Gridavano, si battevano, stavano sbranando. Chiedevano il pegno. E allora ricordai, di scatto. Era l’amore.

Il mio segreto, le catene che stringevano le gambe e lasciavano segni, invisibili a chiunque tranne al sovrano, si erano allentate. Passione sì, mi nutro di quella.

Non ve l’ho detto, sono una fata, ma di una specie particolare. A volte voglio carne, mi serve per crescere e divenire bella. Ma poi divoro, perché sono una strega, la mia immagine è scomposta e gli occhi possono marcire.

Cerco di combattere questa condanna, abbiate fiducia, eppure mi ci cullo. Danzo con lei, è parte di un gioco, mi scorre nelle vene… Chiamatela sapienza oppure ossessione. Ecco, adesso devo andare. Sono assetata, ma forse… è un’impressione.

… La Bambola Segreta …

Era così piccola, la curavo col sangue. Le staccarono un seno, le saltarono in groppa, aveva pochi anni. La raccolsi per strada, divenne la mia bambola. Un po’ di colla, i pezzi ricuciti assieme, con del nastro arancio. Le crebbero i capelli. E rideva, rideva…

Un giorno la presi in braccio, volli truccarla: riccioli d’oro e labbra vermiglie, una magia ben fatta. Le offrivo tè verde ed unguenti profumati, oppio per distrarsi e parole resuscitate. Ma i suoi occhi mi straziavano, pensavo ai suoi assassini.

Poi bastò un tonfo, lo specchio si infranse. Tracciavo il cerchio ogni notte, dovevo vedere. Quell’uomo era su di lei, cercava il suo respiro, essere immondo dai poteri diversi. Era un maschio.

L’aveva messa al mondo. La sua barba canuta. E si muoveva lento, sussurrava silenzi. Sibilai il segreto, costruii una dagida, chiamai gli spiriti. La banshee gridava, gli alberi s’infuocarono, corsi nei boschi. La mia bambina era scomparsa. E poi, riapparve, sempre più bella, ancora più innocente: «Io gli voglio bene…»

Era troppo, anche per una fata. Mi accasciai svuotata, volai nel vento per non sentirla, tornando ogni tanto per riposare. Provai a capire tempo dopo, continuavo a cantarle i miei sogni. E la cullavo: «Fantasie di strega, anima mia…»

… Il Fratello …

Le fate non possono amare, dice la leggenda. Beh, a volte le fiabe sono soltanto miti. Perché vedete, l’amore è l’unica energia che ci tiene in vita, una forza capace di lottare contro il Male. E vincere. Vi racconterò una storia, che è in parte mia, ma solo un poco…

La fata corre coi lupi a volte, poi si ferma a respirare. Vive tra vecchi disordini e nuovi incantesimi, ne avete letto o sentito parlare (l’amico girovago narrò l’incontro) oppure si affaccia al mondo. Ogni tanto esce dalla città e decide di volare, eppure è sempre “tutto” così lontano.

In cerca di prede… o di antichi legami. Sì, la fata ama, e intensamente. Soprattutto chi condivise i suoi richiami. È un filo che non si spezza, e diventa una furia. Dovreste vederla quando soffia il vento, quando grida parole di vendetta e compie fatture. Sono di sangue.

Ora è quel tempo, perché lei ha un fratello. Vive in altre terre, vicino al mare, un elemento sensibile ai cambiamenti. E deve proteggerlo, la guerra si fa dura. È biondo, come lei, nato da maghi cortesi, genitori di entrambi, che insegnarono loro a vedere i colori.

Lui era il maggiore, cavaliere a spada tratta della creatura alata. Ed uccise draghi e ferì demoni e sbaragliò tempeste. Era protetto, nonostante un sortilegio colpisse la famiglia. E ricambiava il dono ricevuto alla nascita. Neppure le armi del demonio riuscirono a sconfiggerlo.

Ma lo scalfirono. E perse la via. Ma un mago è potente, apprende dai suoi errori e così lui, che trovò la Luce ed una compagna, l’unica che potesse condividerne il dolore. Che anni che furono, la sposa divenne sostegno, a volte scontro, si baciavano e gridavano con tale ardore… E gli dèi si compiacevano. Alcuni. Perché lui aveva picchiato il Diavolo, l’Arcano Incantatore, colui che sovrasta un regno.

E fu colpito. La sposa era gentile, quale miglior occasione? Il Nemico affilò gli artigli e pensò, pensò, fino a quando non capì che l’unica maniera, era di entrare nella donna. Prima colpì la testa, poi la schiena ed infine il seno, ma per gradi. Giusto per far credere di essere ancora debole. Si era preso la sua rivincita.

Ecco, la storia potrebbe fermarsi, vero? Sembrerebbe un finale brusco… ma qui parliamo di fate e maghi, ricordate, e di due fratelli. Che videro orrori, che rinchiusero spettri, che rubarono la falce alla morte.

E quindi, non meravigliatevi di alcune magie che invece seppelliranno quell’Incubo zoppo. Perché la fata sta tessendo, una ragnatela d’oro. E il mago è rinsavito, la sposa ancora in vita, e sorridono. Hanno una figlia adesso, la primigenia. E lui è pronto, ha raccolto la sfida e preso il martello. Stavolta nessun demone ricadrà all’inferno. Ne sarà sepolto.

… Il Gatto …

La fata si addormentò, sfinita. Accanto a lei suo figlio, quel gatto tanto amato, creatura misteriosa per troppe persone, soltanto i suoi occhi per chi lo aveva nutrito.

Continuava ad esserci quel bimbo soffice, oltre la morte ed ogni dolore, cercava un contatto. E lei lo accudiva nel sogno, lo rincorreva. Non era ancora il tempo purtroppo, si dimenava dall’abbraccio, le sfuggiva, però… spesso tornava.

Doveva capire, perché era stato lasciato solo? E poi, il richiamo. Un legame impossibile da spezzare, una catena di tormento e lacrime che la fedeltà gli aveva inflitto. La vedeva battersi senza ragione, perdersi tra le stanze, fuggire tra corpi sconosciuti.

Lei li chiamava lupi, e lui pensava fossero cani feroci. O piccoli topi, sì. Topi da divorare per farla felice, da riportare a volte intatti per offrirle un sorriso. E adesso, adesso non ci riusciva.

Ricordava di essere caduto, all’improvviso. E sentiva le voci, il terrore, gli sconosciuti correre per casa. Li aveva osservati da vicino: erano mostri, ecco, quelli che aveva sempre temuto. I gatti vedono gli spettri lo sanno tutti. E lui, icaro innocente, ne conosceva molti.

Cercò di volare un giorno, era piccino. E la fata lo salvò, pensava di essere indenne. Perché non era successo di nuovo? Era finito, questo lo sapeva. Spazzato via da tutte quelle risate, ma ancora lo sentiva. L’urlo della sua padrona.

E allora tornava, di tanto in tanto. Un rumore, un tocco per farsi notare, un miraggio. E la coperta, gettata a terra dove gli piaceva. Così da far intendere: io ci sono.

… Illusioni di una Fata …

E c’era sangue, il lupo sbranava. Accorsi, dimentica del mio destino. La memoria vacilla in certi momenti, come pensare che ne fossi la causa? Quel posto era intriso, bava ed umori, l’odore intenso e i corpi dilaniati. Erano giunti da poco, forestieri di una notte incantata. Così credevano.

Due giovani in fuga, da cosa me lo chiedo sempre, sembravano lucertole: lingue acuminate, membra lucide, gesti affrettati. E poi, così verdi… Era la luce, certamente, ma provai fastidio. E li chiamai, i miei tormenti, per farne scempio. Dovevano saggiare la paura, sentire lo stesso dolore, soprattutto lei. Oh sì, non sopporto l’improvviso chiarore di due amanti, ricordo troppe cose.

Lanciai un grido più tardi, ancora una volta uccisa nel cuore, incatenata alla malia. Ma è inevitabile, subii un inganno.

Me ne dimenticherò dicevo. Volo tra gli alberi ed ascolto i loro suoni, avverto profumi, spio nelle case, vesto di colori. A volte. Ma poi ricomincio e mi siedo a cantare, una nenia triste che diviene richiamo. Sono la distruzione. Allora, lasciai che i lupi si saziassero. Ormai era troppo tardi. E andai oltre.

Cercavo il mio amico… parevo respirare. Lo vidi sulla riva, attendeva qualcuno, un’altra donna ne ero sicura. Era un esperto in seduzione. Infine eccola, un frammento del sogno. Colei che si era risvegliata lo stava cercando. Una breve apparizione e scomparve. Peccato, volevo avventarmi. Perché in fondo è vero quello che si dice: le fate non possono amare.E credé di affogare. Il suo amico dei boschi, l’elfo giocondo che ogni tanto le faceva compagnia, l’aveva avvertita: «Non ti fidare, è un uomo.»

La fata pianse a lungo, gli aveva creduto invece. Erano volati assieme, tempo prima, preda di un inconsulto piacere. Era amore? Le sue catene si erano allentate, di un poco. Ma tanto bastava.

I lupi chiamavano a volte, cedeva a quell’incanto, eppure era più forte. Sapeva che presto sarebbe riuscita ad evadere. Una prigione confusa la sua, fatta di carte e vecchi balocchi, dove poteva scrivere ed ornare tele e vedere tempeste. Era bella la fata, guardava gli specchi. Apriva le braccia e danzava, danzava, solo per lui. Per quel ricordo.

Lo stregò subito, con uno sguardo. E il tocco di una mano fece il resto. Cantava fiabe per l’uomo, si vestiva di fiori. E mentiva, sollevandosi in aria, ricadeva piano per non svegliarlo. Cercava il suo respiro. Le fate hanno sensi acuti, lei non era da mano. E gli odori erano impressi a fuoco, ma il fruscìo degli alberi, come dimenticarlo? Era la sua creatura notturna, ecco la verità.

Venne un giorno, più tardi, in cui l’uomo si destò dal sogno, fuggì con un suo simile e l’abbandonò a gridare. Un urlo disumano… lacera ancora il cuore. E poi tornò, dicendo della notte, l’ultima passata assieme. Ma fu lui, stavolta, a tendere la trappola.

Menzogne di umani, la peggior specie. Un lupo fiutò il pericolo, era troppo tardi. La fata si perse nel dolore. Era nel lago, le acque nemiche vegliavano il dolore. Trovava in quel sonno la distesa ai suoi mali: l’uomo le aveva mentito, i demoni vincevano battaglie e i lupi, tacevano. Feriti.

Sognava di danze alla luna ed antichi riscatti, ma un grido parve destarla. Cercò di voltarsi, non voleva sentire eppure, quel sibilo… Si alzò di scatto, allora. Un cambio d’abiti ed era pronta, i lupi le corsero incontro; scelse una preda e la divorò, l’elfo tornò a cantare. Volarono insieme, corsero tra i boschi, bevvero il seme. E si addormentarono.

Soddisfatta, s’incamminò verso casa, quella biblioteca persa nella polvere, ma un fremito la raggiunse. Conosceva il lamento, la voce della strega. L’essere deforme frantumava le ossa e rideva in un angolo, aspettando solo di colpire.

Si era dimenticata, ecco perché era sveglia, una donna la stava chiamando. Elane era giovane, vittima prescelta da colei che si tinge di rosso. Come nelle favole, era intrappolata nella torre, credeva fosse una stanza. L’oscura signora, altro nome della strega, voleva mangiarla. E lei, la fata, pregustava la lotta. Si arrampicò tra le guglie schivando scheletri, fantasmi di quanti avevano già perduto, e spiò nell’incubo.

Elane dormiva in un letto di foglie, immagini di un cavaliere lontano, l’altra era nell’ombra. La luce filtrava dall’alto ed un vetro s’infranse, stavolta era magia. L’elfo le sussurrò all’orecchio: «Combatti, sarò al tuo fianco.» Bastava trovare le armi.

La fata era emersa, di nuovo. Non poteva amare, ma aveva degli amici in fondo. Esseri come lei, figli di dio scontroso, creature vivaci e notturne decise a sbranare. O dare conforto.

Per quanto si sforzasse non riusciva a capire. Oltre lo specchio c’era davvero qualcosa? Un riflesso crudele sembrava spiarla, difficile guardare a lungo: occhi di medusa, vedeva solo questo.

La vanità, un tempo, era stata sua amica. Un corpo che amava, che altri ricercavano. Straziava le carni dei suoi amanti, ne mangiava il cuore per essere più giovane. E bella.

Poi dimenticava. I lupi annusavano inquieti, volevano il sangue. E lei gettava i resti a quei famelici persecutori. Si adornava di canti e leziosi trini, scopriva le gambe, scuoteva i capelli, era una bambina.

Ma accadde qualcosa, troppo feroce a dirsi, le catene si fecero più forti. Vinceva i demoni la fata, combatteva battaglie, è vero, cadevano teste ai suoi piedi. Che lei calpestava. Eppure gli uomini si accalcarono e gli dèi si dissero felici dell’inganno, ridevano… E lei si ribellò. Decisa a non vedere la luna, voltò le spalle. Corse a lungo verso altri manieri, trovò quello più oscuro e lì si rifugiò. Per molti anni.

Infine, venne un amico, un eterno ragazzo dalla vista più lunga della sua. Capacità sorprendenti per quella tenera età. Sembrava appassito a volte, perduto anch’egli in qualche orrore. E lei parlava, raccontava magie. O di antichi fasti.

Decise all’improvviso, legare i poteri… Ebbene, provarci: in fondo, cosa le costava? E si mostrò finalmente, oppure fu lui a scorgerla per la prima volta, non ricordava più. Sapeva solo che avrebbero lottato insieme.

Data la lunghezza dell’articolo, il post è stato diviso in più pagine:

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