L’Unicorno

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Data di pubblicazione: 12 Settembre 2011 ©Giardino delle Fate

Splendide creature, che volano nella fantasia, nel loro mondo ove tutto è meraviglioso, in un mondo particolare, dove esistono castelli fatati e creature invisibili, un fantastico universo colorato dalla loro presenza…

I loro corpi sono bianchi, le loro teste scure e i loro occhi di un blu profondo… volano in alto Unicorni alati, nel cielo azzurro, dai mille colori, attraversando infiniti mondi, infinite galassie, per offrirci il loro splendore. Essi ci trasportano lontano, in un mondo pieno di luce e fantastici sogni, nella loro fantastica fantasia.

L’Unicorno, animale fantastico e bellissimo che popola miti e leggende, ha caratteristiche fiabesche, sognanti e “magiche”, e con il suo riconosciuto carattere fantastico gode di un tale favore, nell’immaginazione collettiva, da popolare anche i sogni.

Seguiamoli, attraversiamo insieme a loro il fantastico mondo degli Unicorni, la fantasia non ha limiti, basta saperla usare bene…

Forse non tutti sanno quanto grande sia il potere di un Unicorno…
Queste creature purissime e meravigliose,
portano sulla loro fronte un corno, capace di cose straordinarie…
Infatti molte creature del male cercano da secoli di impossessarsene,
cercando di uccidere gli Unicorni per assimilarne la forza e l’energia,
allo scopo di diventare potenti ed invincibili.
Data l’innocenza di queste creature docili e straordinarie,
c’è una Fata che combatte demoni e stregoni,
per salvaguardarle e mantenere la forza degli Unicorni pura…
il suo nome è Kaya, ed è la protettrice degli Unicorni da moltissimo tempo…

“Secondo una leggenda, secoli or sono, nel Regno delle Fate viveva uno splendido animale chiamato Unicorno. Un giorno, una Fata chiese all’Unicorno di scortarla nel regno degli uomini. Dopo l’iniziale titubanza, l’animale, che non era mai stato con gli Umani, decise di andare con la Fata. Giunti a destinazione, la Fata sparì tra i boschi lasciando solo e smarrito il povero Unicorno, che non riuscì più a trovare la strada per ritornare al magico regno. Pensando ad una fuga volontaria, una Regina delle Fate si adirò profondamente con l’Unicorno, suo animale prediletto. Prese così le sembianze di una fiera dal pelo color notte, e iniziò ad inseguirlo fino a tendergli una trappola tra le spine di un cespuglio di more. Per la prima volta in tutta la sua vita, l’Unicorno si ferì e vide sgorgare del sangue: perse così la sua purezza, il suo corno e tutta la magia che da esso derivava, trasformandosi in un cavallo. Così, secondo questa leggenda, ebbe origine la stirpe dei cavalli.” (Bogus)

Anche William Shakespeare, nel III Atto de “La tempesta”, ne parla come un animale incredibile. Del fatto però che anche in tempi di Shakespeare si parlasse di questo animale non ci si deve meravigliare: da sempre l’Unicorno è stato una figura molto importante e di prestigio. Infatti, non era raro sentire di sovrani che possedevano nelle loro collezioni privare i corni di Unicorno, oppure trovare nelle farmacie delle polveri di corno che, tradizionalmente, erano considerate incredibilmente potenti come controveleno.

Si diceva che l’Unicorno fosse un animale molto docile, incapace di fare del male a qualsiasi essere vivente e dotato di una particolare sensibilità, che lo rendeva capace di evitare imminenti pericoli e di superare qualsiasi ostacolo, persino capace di purificare l’acqua da ogni sostanza nociva, solo toccandola. Si diceva anche che fosse talmente prezioso, che sulla terra se ne trovasse solo uno vivente per volta.

La leggenda vuole che l’Unicorno fosse un animale così puro che solo persone dall’animo puro e candido potessero cavalcarlo. È per questa ragione che spesso l’Unicorno veniva raffigurato cavalcato da una vergine, da un Mago, una Fata o da un Elfo.

Il corno che aveva sulla fronte, l’Alicorno, era lungo circa 50 centimetri e si diceva fosse dotato di poteri magici. Si credeva, ad esempio, che se il corno veniva toccato da una persona gravemente malata, questa potesse guarire istantaneamente, e la credenza nelle capacità taumaturgiche del corno, è basata su un racconto medievale secondo il quale molti animali si radunavano insieme intorno ad una pozza d’acqua nel mezzo della notte, ma l’acqua era avvelenata ed essi non potevano berne, fino a quando non appariva un Unicorno che immergeva il suo corno nell’acqua che tornava pulita.

Scrive Johannes Van hesse di Utrecht nel 1389: “Ancor oggi, viene detto, animali malevoli avvelenano queste acque dopo il tramonto, così che niuno possa ivi dissetarsi. Ma nel mattino presto, appena sorge il sole, un unicorno esce dall’oceano, intinge il suo corno nell’acqua per espellere il veleno così che gli altri animali ne possano bere durante il giorno. Questo come lo descrivo, io vidi con i miei occhi.”

Ma l’atteggiamento degli uomini nei confronti di questa creatura è stato nei secoli molto discordante. In Occidente era abitualmente considerato selvaggio e indomabile, mentre in Oriente era pacifico, mansueto e ritenuto portatore di buona fortuna; mentre alcuni lo annoveravano come un flagello della Natura, altri usavano raffigurarlo addirittura nei simboli araldici delle loro famiglie, quasi conferisse importanza e prestigio.

L’Unicorno non compare spesso nei sogni… in sogno esso indica il bisogno di ritagliarsi uno spazio intimo e perché no, segreto, che non sia minimamente sfiorato dalla banalità o dalla tristezza del quotidiano.

Esso appare più facilmente nei sogni di bambini o di persone particolarmente sensibili che sentono la paura di crescere e cambiare, che avvertono la fatica di vivere in un ambiente in cui non ricevono adeguato nutrimento interiore: sono coloro che non si fermano alla superficie delle cose e che hanno bisogno di ben altro che le cure materiali.

L’Unicorno che compare nei loro sogni è l’espressione del loro mondo interiore, del loro “sentire”, di un desiderio di “unicità”, profondità e completezza.

Così anche nei sogni degli adulti l’immagine fantastica dell’Unicorno esalta gli aspetti psichici legati alle emozioni più pure, alla possibilità di vivere sentimenti idilliaci, a desideri di bellezza e di bontà, al senso di meraviglia verso la vita, all’ingenuità e all’integrità personale.

Ma può anche esprimere il ritiro nei confronti della realtà, la paura verso il rapporto sessuale, il rifiuto verso le implicazioni pratiche e materiali di un rapporto d’amore o di una qualsiasi relazione, mettendo in evidenza l’adesione ad un mondo immaginato e sognato che ha il sapore dell’ideale. La concezione dell’Unicorno nasce fra la Cina e l’India: viene infatti descritto per la prima volta nel Li-Ki come uno dei quattro animali benevoli, insieme al Drago, alla Fenice e alla tartaruga.

In Cina indicava l’arrivo di un regnate perfetto. Il corno era la rappresentazione della “spada divina” ed era rivolto verso l’alto, il mondo spirituale. Simboleggiava la mitica terra da cui tutti noi proveniamo, fuori dal tempo, fuori dallo spazio, in quello “sconosciuto infinito” che è dentro di noi e che attende ancora di essere esplorato.

Il suo nome originale era K’i-lin, nome che secondo la tradizione cinese riuniva il principio maschile e quello femminile, ed era raffigurato come un grande cervo con coda di bue e zoccoli di cavallo, armato di un solo corno, dai peli dorsali di cinque colori e da quelli del ventre gialli o bruni. Non calpestava erba viva né uccideva animali viventi, e compariva solamente nel momento in cui venivano al mondo dei regnanti perfetti.

In Occidente s’iniziò più tardi a confondere questo animale con il rinoceronte, al cui corno da sempre erano attribuite della capacità curative, ma nella tradizione cinese i due animali erano nettamente distinti. In seguito la figura dell’Unicorno si diffuse verso nuovi paesi e la ritroviamo in culture estremamente differenti da quella cinese: in Persia, ad esempio, si parla di un immenso Unicorno a tre zampe, che aveva il potere di purificare l’oceano.

☆ Il Mito dell’Unicorno ☆

L’Unicorno o liocorno, è una creatura magica dal corpo di cavallo, con un singolo corno in mezzo alla fronte. Il nome deriva dal latino unicornis, a sua volta dal prefisso uni- e dal sostantivo cornuc, “un solo corno”, ed è tipicamente raffigurato come un cavallo bianco dotato di attributi magici, con un unico lungo corno avvolto a torciglione sulla fronte.

Molte descrizioni attribuiscono all’Unicorno anche una barbetta caprina, una coda da leone e zoccoli divisi. Una primissima rappresentazione può riconoscersi in un animale raffigurato nelle Grotte di Lascaux (Francia, Paleolitico superiore), dotato di un corno lunghissimo sulla testa e pelame sotto il muso.

Simbolo di saggezza, nell’immaginario cristiano poteva essere ammansito solo da una vergine, simbolo della purezza. Agile, infaticabile e fiero, sfugge ai cacciatori che lo inseguono invano, mentre una vergine candida e pura addomestica l’animale selvaggio, il quale si affretta a stendersi dolcemente ai suoi piedi.

La leggenda dell’Unicorno è diversa dalle altre perché è durata più a lungo, ed è stata condivisa dalle menti più illuminate di tutte le nazioni. Una delle caratteristiche principali del mito dell’Unicorno è il fatto che non è mai nato dalla paura umana come molte creature mitologiche: l’Unicorno è sempre stato considerato un simbolo del bene, un animale solitario, indomabile e misterioso, ma sempre innatamente buono. È anche una creatura estremamente fiera, e questo orgoglio si racconta che causò la sua estinzione.L’Unicorno è associato al Mercurio, elemento di sostanziale importanza quale “aurum non vulgi”, spirito di vita. Si credeva che se il corno fosse stato rimosso, l’animale sarebbe morto.

Nella tradizione medievale, il corno a spirale è denominato “alicorno”, e gli veniva attribuita la capacità di guarire l’epilessia, le convulsioni e di neutralizzare i veleni. Questa virtù venne desunta dai resoconti di Ctesia (medico, storico e viaggiatore vissuto intorno al VI secolo a.C.) sull’Unicorno in India, dove sarebbe stato usato dai governanti per fabbricare coppe in grado di rendere innocui i veleni.

La pratica dell’uso antivenefico dei corni di Unicorno ebbe una certa diffusione nell’Europa Medioevale, di sicuro molto influente fu la figura di Ctesia che, tra le sue opere, ne compose una, “Indikà”, dove parlava appunto dell’India. Anche se a noi ne sono pervenuti solamente pochi frammenti, abbiamo scoperto delle descrizioni molto interessanti e suggestive, che hanno contribuito a creare intorno a questo paese un alone di mistero:

“In India ci sono degli asini selvatici grandi come cavalli e anche di più. Hanno il corpo bianco, la testa rossa e gli occhi blu. Sulla fronte hanno un corno lungo circa un piede e mezzo. La polvere di questo corno macinato si prepara in pozione ed è un antidoto contro i veleni mortali. La base del corno, circa due palmi sopra la fronte, è candida; l’altra estremità è appuntita e di color cremisi; la parte di mezza è nera.
Coloro che bevono utilizzando questi corni come coppe, non vanno soggetti, si dice, alle convulsioni o agli attacchi di epilessia. Inoltre sono anche immuni da veleni se, prima o dopo averli ingeriti, bevono vino, acqua o qualsiasi altra cosa da queste coppe.
Gli altri asini, sia quelli domestici sia quelli selvatici, nonché tutti gli animali con lo zoccolo indiviso, non hanno né astragalo né fiele, ma questi hanno già sia uno che l’ altro. Il loro astragalo, il più bello che io abbia mai visto, è simile a quello del bue come aspetto generale e dimensioni, ma è pesante come piombo e completamente color cinabro”.

I critici della storia antica hanno versato vagonate di inchiostro nel tentativo di confutare le cose scritte da Ctesia: ipotesi avanzate, che egli si fosse lasciato condizionare da immagini e dipinti indiani, o che si riferisse ad un semplice animale molto conosciuto in Persia, l’onagro, una specie di asino al quale aveva accordato sfumature mitologiche. Oppure aveva semplicemente visto un rinoceronte e lo aveva descritto con tanta enfasi da stravolgerlo completamente, o ancora, si era confuso con una comunissima antilope tibetana, che ha delle grandi orecchie dritte che, viste di profilo, potrebbero sembrare un solo corno.

In Grecia però, nel III secolo d.C., Eliano, un naturalista che ben conosceva il rinoceronte, al punto che nei suoi scritti quest’ultimo non viene neanche trattato, parla di un animale che viveva all’interno dell’India, che era grande come un cavallo, di pelo rossiccio, e che gli indigeni chiamavano kartazonos. Aveva una corno sulla testa, era nero e dotato di anelli; era scontroso, e lottava anche con le femmine della sua specie, salvo nel periodo degli amori.Iniziò così il mito dell’Unicorno, animale fantastico e raro, elegante e forte, dotato di poteri misteriosi… con l’andare del tempo divenne una vera e propria preda da inseguire e catturare, infatti nel XII secolo, quando le frontiere dell’Asia profonda cominciarono ad aprirsi all’Europa, si aprì anche una caccia spietata all’Unicorno. Nessuno si chiedeva più se questa creatura esistesse o meno, si pensava solo a cercarne una che si avvicinasse il più possibile alle descrizioni tradizionali, per conquistare fortuna e gloria.

In un documento apocrifo conosciuto come “Lettera del Prete Gianni”, di metà XII secolo, gli Unicorni erano annoverati senza dubbio tra le meraviglie dell’Oriente. E l’illusione di trovarne durò a lungo, anche Marco Polo ne parlò nei suoi scritti.

Dopo la scoperta dell’America i sospetti sull’esistenza dell’Unicorno si rinvigorirono di nuova forza, e specialmente la credenza dell’enorme affinità dell’animale con l’acqua; basti notare che in moltissime rappresentazioni l’Unicorno è sempre vicino a questo elemento: sul greto dei fiumi, sulle spiagge… Il fatto è spiegato che i coloni americani e soprattutto i canadesi, ritrovavano nelle loro spiagge lunghi corni che arrivavano fino a due metri.

Anche nel Palio delle Contrade di Siena, palio di origini medievali e che si corre, come ognun sa, ancor oggi, seppur in un contesto diverso, vi è, tra le 17 contrade, quella del Leocorno (Unicorno), rappresentata da un cavallo col corno in testa.

Tra i ritrovamenti nella cosiddetta “Cava dell’Unicorno” (Einhornhöhle) in Germania, nel 1663, alcune ossa vennero selezionate e montate dal sindaco di Magdeburgo, Otto von Guericke, come un Unicorno. Questo Unicorno aveva solo due zampe, e venne ricostruito partendo da ossa fossili. Lo scheletro venne esaminato da Gottfried Leibniz, in precedenza scettico, ma da allora si convinse dell’esistenza dell’Unicorno.

Con l’affermarsi della moderna scienza naturalistica, l’Unicorno cominciò ad uscire dai Bestiari per entrare nelle prime opere di sistematica naturalistica (che conterranno comunque, almeno fino alla metà del XIX secolo, accanto ad animali reali, anche animali fantastici, parzialmente o del tutto mitizzati). Tuttavia, nel corso del secolo, l’impossibilità di trovarne un esemplare, indirizzerà la scienza naturalistica ad escludere definitivamente l’Unicorno dalla lista degli animali esistenti.

Ma l’unicorno ha continuato ad esistere nei miti e nella fantasia, e la sua grazia e bellezza sono diventate simbolo di una grazia e bellezza spirituale e di una purezza che appartiene alle sfere superiori.

Il corno è un evidente simbolo fallico, ma la sua posizione al centro della fronte (zona preposta all’uso della ragione, “terzo occhio” per la capacità di vedere oltre il tangibile ed il materiale) sublima ogni carica erotica ed ogni fisicità. Ecco che l’Unicorno concentra in sé tutta la carica dell’amore nel senso più ampio, ma senza le implicazioni del sesso.

Simbolo del Cristo e dell’amore vero, puro e disinteressato che fugge ogni lusinga della materia, la sua immagine elegante si lega al mondo della fantasia, a qualcosa di incorruttibile e non soggetto alle leggi del tempo, della necessità, e della realtà…

❈ Il Simbolismo dell’Unicorno ❈

L’Unicorno è una figura frequentemente raffigurata in araldica, secondo la tradizione, ma con gli zoccoli biforcati dei cervidi e del bue, la coda del leone ed una barba di capra sotto la gola. Frequente soprattutto tra gli ornamenti esteriori dello scudo.L’Unicorno è uno degli emblemi della Scozia e, in quanto tale, compare come supporto negli stemmi del Regno Unito e della Nuova Scozia in Canada.

Esso simboleggia forza e generosa vittoria. Nella simbolica medioevale l’Unicorno era descritto come animale piccolo (a rappresentare l’umiltà), ma invincibile. Simile nell’aspetto ad un cavallo bianco, simbolo di nobiltà e purezza, il suo singolo corno in mezzo alla fronte rappresentava la penetrazione del divino nella creatura.

Nel simbolismo cristiano, l’animale mitico simboleggia l’Incarnazione del Verbo di Dio, che prepara la strada all’avvento del Vero Re: le virtù terapeutiche scompaiono e compare il mito della vergine secondo il quale l’Unicorno, animale ferocissimo e indomabile, si ammansisce soltanto al cospetto di una vergine, dalla quale si lascia allettare e segue sino al palazzo del re. Se la donna non è vergine, tuttavia, scoperto l’inganno si infuria e la uccide.

La sua caccia è così descritta: “Si espone sul campo una vergine, e l’animale le si avvicina; e mentre esso si posa nel suo grembo, viene catturato.” Qui il contatto con la vergine e l’abbandonarsi dell’Unicorno nel grembo di lei, sta ad indicare il prendere corpo del divino in forma umana, il che lo rende più reale ed insieme più corruttibile. Nella simbologia cristiana, l’associazione con la Vergine fa sì che l’Unicorno venga assimilato allo Spirito Santo, che feconda Maria: unendo la potenza della spada divina alla purezza di un manto immacolato, l’Unicorno rappresenta la Vergine fecondata dallo Spirito Santo.Nella letteratura cortese aveva risonanze più propriamente erotiche: il liocorno cacciatore invincibile, poteva essere ammansito solo dall’amore per la fanciulla.

La coppia vergine-liocorno viene a rappresentare il violento conflitto interiore tra due valori: la salvaguardia della verginità come massima purezza da un lato, e la fecondità (corno come simbolo fallico) dall’altra. L’Unicorno fu spesso indicato, in tale contesto, quale simbolo della sublimazione dell’amore, della rinuncia all’amore per salvarlo da un deperimento ineluttabile. La ricerca di un animale reale come base per il mito dell’Unicorno, accettando la concezione degli scrittori antichi che esisteva davvero ai confini delle terre conosciute, ha aggiunto un’ulteriore aura di mitologia all’Unicorno.

In epoca recente, si è cercato un animale che avesse almeno alcune caratteristiche della creatura leggendaria, tuttavia la loro forza non risiede nella credibilità “reale” di questi animali, bensì nella concezione che non è possibile nemmeno oggi spiegare e comprendere tutto ciò che la natura ci presenta, ogni sua rappresentazione, ogni sua parte e potenzialità. D’altra parte, secoli fa anche la semplice idea che l’uomo potesse volare era ridicola, ma qualcuno ci ha creduto… ed eccoci sulla Luna
Questo allora è l’Unicorno…

ღ♥ L’Unicorno e la Sirena… ♥ღ

Alla purezza ed innocenza dell’Unicorno bianco, animale del bene con la magia del suo corno benefico, si contrapponeva un’altra creatura considerata reale, la donna-pesce, altrove descritta come donna-uccello: la Sirena.

Questa era raccontata nel Medioevo come simbolo di dannazione, uno dei sette peccati capitali, quello della lussuria. Al lato opposto il corno, il candore, l’elemento acqua, che avvicinavano d’altronde l’Unicorno al regime femmineo del simbolo, e di esso si faceva talora non solo il simbolo del Cristo, ma anche della vergine stessa.

Una Sirena con doppia coda e canto che ammalia, come nell’antica Grecia raccontò Omero nell’Odissea. Il suo Ulisse riuscì ad salvarsi dalle Sirene solo dopo aver ordinato alla ciurma di tapparsi le orecchie e di venir legato all’albero maestro della nave, per non perdere il piacere di starle a sentire.

Una donna-pesce dai lunghi capelli, con seni prorompenti e nudi, strumento del peccato, è scolpita su un capitello del duomo di Modena con la sua coda biforcuta: ricorda che fa parte degli armenti di Satana, con un canto lussurioso a cui è impossibile resistere. Così aveva sostenuto Bernardo di Chiaravalle, il padre spirituale dei templari: “Cosa sono mai le parole delle donne che vivono nel mondo se non canto di sirene?”

Fiancheggiata da due Unicorni, la Sirena però non è più la seduttrice che provoca una decadenza. È una Maga che incanta con la sua musica, e le braccia levate verso il cielo fanno di lei una sacerdotessa dell’arte, che seduce spiritualmente sollecitando il sentimento religioso a legarsi all’espressione dei Bello.  

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