I Cerchi Fatati

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Data di pubblicazione: 16 Settembre 2011 ©Giardino delle Fate

Se durante una passeggiata in un bosco, vi capita di vedere sull’erba un cerchio di funghi, fiori, pietroline od erba calpestata, potete stare certi che si tratta di un Cerchio delle Fate. Questi cerchi si formano nei luoghi in cui gli abitanti del Piccolo Popolo si radunano a ballare, nella loro tipica danza a cerchio.

Ma, una volta identificato questo luogo, dovete fare attenzione a non andarci mai di notte, e nemmeno pernottare lì vicino. Potreste infatti essere svegliati ed attirati dalle trascinanti melodie suonate dalle Fate, che per l’occasione assumeranno le fattezze più incantevoli… per poi prendervi per mano, introdurvi nel cerchio e coinvolgervi nella loro danza sfrenata.

Una volta giunta l’alba e sciolto il cerchio, a voi sembrerà che sia trascorsa qualche ora, ed invece sarà trascorso addirittura qualche anno…

Secondo molte leggende, le Fate danzano spesso sull’erba in queste ridde chiamate “Cerchi delle Fate”, che costituiscono un grave pericolo per l’uomo che si trovi a passare di lì. Il fascino selvaggio della musica può trascinarlo inesorabilmente verso il cerchio che, come i baci, il cibo e le bevande delle Fate, può ridurlo in schiavitù eterna nel loro mondo.

Infatti una volta entrati, si è costretti a restare fino alla fine della festa (danzando e saltellando), che può sembrare che duri solo per una notte, ma in realtà dura sette anni o anche di più. Lo sventurato prigioniero può essere salvato da un amico che, tenuto da altri per la giacca, segua la musica, allunghi le mani dentro al cerchio (tenendo un piede saldamente fuori), ed afferri così il danzatore.
In Natura i “Cerchi delle Fate” esistono e sono cerchi di funghi velenosi, molte volte rossi con puntini bianchi, che crescono nei luoghi erbosi del Nord America e in Europa, e che spesso spuntano dopo la pioggia. Si tratta di un fenomeno naturale causato da una comunità di funghetti bianchi della specie “Marasmius Oreades”.Questi funghi crescono disponendosi in cerchio ed allungando le ife (una specie di “radici”) in direzione del centro. L’effetto finale è la formazione di due anelli concentrici di colore verde scuro, separati da una striscia di erba secca, sotto la quale è presente una fitta rete di ife fungine, che raggiungono anche i 40 cm di profondità; sono quest’ultime la causa dell’erba morta, in quanto impediscono l’approvvigionamento di sostanze nutritive e acqua.

Secondo la tradizione si tratterebbe dei cerchi nei quali le fate e gli elfi si divertono a danzare per tutta la notte. È per questo che l’erba appare come “consumata”: per il lungo calpestìo dei piedini fatati…

I Cerchi Fatati vengono utilizzati in genere durante i rituali, quando c’è bisogno di incanalare una grande quantità di energia, ma possono anche essere utilizzati a scopo ricreativo, magari a discapito di qualche ignaro passante.

Il Cerchio delle Fate è, nella simbologia celtica, costituito da un cerchio magico di pietre, come a Stonehenge, in cui Fate e Streghe si riunivano per adorare la Luna, simbolo planetario della Dea. Una credenza popolare sostiene che, se una persona si trova nel cerchio delle fate sotto la luna piena ed esprime un desiderio, questo si realizzerà.

Per vedere le fate invece, bisogna girare nove volte intorno ad un cerchio fatato, sempre sotto la luna piena. Ma non bisogna farlo alla vigilia di Calendimaggio o ad Halloween, perché esse si offenderebbero e porterebbero il malcapitato nel paese degli Elfi.

Un Cerchio Fatato deve essere composto da almeno tre Fate, più una eventualmente incaricata di suonare il Flauto di Giove. Il Flauto non è indispensabile per la riuscita del Cerchio Fatato, ma è utile per invogliare le altre fate a danzare.

Le Fate che partecipano devono essere concentrate esclusivamente sul Cerchio Fatato, che assorbe tutta la loro energia e concentrazione: questo è uno dei motivi per cui durante il Cerchio esse non parlano. In alcuni casi è necessario utilizzare la Pietra Lunare per unire le forze ed incanalare l’energia, rendendola più forte e mirata.

Alla fine del cerchio le Fate si sentiranno stanche e spossate in relazione alla forza che hanno, sia mentale che fisica.

I Cerchi a scopo ricreativo, invece, a livello di sensazioni non producono nulla per chi ne sta fuori, se non una dolce e soave melodia, ossia quella che viene suonata dal Flauto di Giove.

Coloro che, invece, entrano nel Cerchio saranno completamente rapiti dalla melodia, che li costringerà a ballare per tutta la durata del Cerchio o finché qualcuno, tenendo un piede ben saldo fuori dal Cerchio, non li tiri fuori. Anche se stanchi ed incapaci a reggersi in piedi, continueranno a ballare, poiché la musica è talmente coinvolgente che fa loro dimenticare ogni altra cosa.

Il successo del Cerchio dipende dallo sfortunato ballerino e da quanto si riesce a coinvolgerlo. Se il ballerino è meritevole alla fine verrà premiato; in caso contrario subirà la vendetta delle Fate.
L’illusione dei Cerchi Fatati non ha effetto sulle altre Fate.

Guizzano lievi nell’incerta luce della calma sera,
Svelando all’aria il collo bianco e le nude caviglie;
Passano il pigro rivo nel suo assonnato canto,
E i profondi dirupi nella spettrale brezza:
Tenendosi per mano, cantano le fanciulle,
Per il colle hanno preso, con intrepido passo,
Fin che giungono ai sorbi, che solitari crescono
Vicino al grigio Rovo delle Fate.
Allegre le fanciulle formano una catena,
Cingendo a coppie liete un immobile sorbo,
Vanno in dedali ondosi, come uccelli radenti,
Nel canto più felice.
Ma solenne è il silenzio della foschia d’argento
Che assorbe i loro suoni in pace priva d’eco,
E immoto si allunga il pendio nella sera,
E più sognante ancor si fa la notte…

❂ La nascita dei Cerchi Fatati ❂

Questa storia è ambientata nell’epoca nella quale le prime Fate comparvero sulla Terra. Erano quattro splendide Fate, differenti tra di loro nell’aspetto e nell’anima stessa, nate ognuna da un elemento diverso, in un’isola dove nessun essere di nessuna razza aveva mai messo piede. Quest’isola era chiamata Feridia.La prima a venire al mondo, Asja, nacque in una notte tempestosa dalla scintilla di un abbagliante fulmine. Aveva i capelli color del fuoco e la pelle candida come latte, grandi occhi del colore delle stelle illuminavano il suo viso, ed era vestita d’un velo del colore del sole.

La seconda Fata, Pervinca, venne al mondo nel momento in cui una goccia di fresca rugiada, scivolando da un petalo del bellissimo fiore che le diede il nome, entrò in contatto con il terreno. I suoi capelli erano del medesimo colore dell’oro, gli occhi due gemme azzurre che risaltavano sulla pelle chiara, e vestiva d’un sottile velo color del mare.

La terza bellissima Fata, invece, era nata dall’ululìo del vento del Nord, attraversante i rami di un salice piangente: aveva il nome di Venia, e capelli color della neve le cadevano sulle spalle ed incorniciavano il viso dai delicati lineamenti, aveva gli occhi color del ghiaccio ed il suo sguardo sembrava trapassare le anime e leggere, all’interno di esse, ciò che di più nascosto vi risiedeva. Venia vestiva d’un velo dello stesso colore della sua pelle rosata, sul quale il vento formava morbide pieghe fluenti durante il volo.

L’ultima Fata, Yulia, venne al mondo nell’attimo in cui il germoglio di una pianta, scavando e smuovendo il terreno riuscì a vedere la luce per la prima volta. Ella aveva i capelli del colore delle ciliegie, occhi grandi e scrutatori dello stesso verde che colora le valli immense, ed il suo esile corpo era vestito di un velo del colore della Terra.

Il Fato volle che le quattro Fate s’incontrassero: si videro, si scrutarono, si riconobbero simili. Tuttavia non poterono comunicare, data la diversità delle proprie origini e il tempo assai remoto, quando ancora nessun linguaggio era comune a tutte le razze abitanti il Mondo.

Infatti Asja esprimeva le sue sensazioni tramite la luce ed il suo cuore ardeva con il fuoco, la voce di Pervinca si confondeva con lo scroscio dei ruscelli del bosco e il suo cuore palpitava con il ritmo della pioggia battente, Venia cantava con l’ululìo del vento ed esprimeva le emozioni danzando in esso, mentre Yulia viveva con la terra e il suo cuore batteva con la vita che da esso prendeva forma.

Le quattro Fate s’osservarono e provarono in tutti i modi a comunicare. Purtroppo l’una non comprendeva l’altra. Sembrarono rassegnarsi quando, ad un tratto, una melodia si espanse tutto intorno: il vento, giunto in quel luogo con la Fata Venia, passando tra le canne di bambù produsse un dolce suono che le Fate udirono.

Allora la Fata del vento sorrise, si avvicinò alle sue sorelle e le prese per mano, portandole in alto con sé. Le Fate si presero tutte per mano, disponendosi in cerchio, e al contatto tra di loro non ci fu più bisogno di parlare. Furono unite in un’unica, forte, essenza e danzarono con il vento, comunicarono tramite la vita che nasce dalla terra, i loro cuori arsero con il fuoco e batterono all’unisono al ritmo della pioggia cadente.

Tramite quel cerchio, e quella dolce musica, poterono danzare e danzare ancora, sempre, ogni volta che lo volevano, e capirsi e provare ancora le ricercate emozioni, senza aver bisogno di parlare un unico linguaggio…

Trascorse il tempo e con esso molte Fate vennero al mondo. Qualcuna nata dai riflessi della Luna alta in cielo, altre nate dai caldi raggi del Sole, alcune in un soffio di vento, altre nei riflessi rosati del tramonto. Man mano nascevano diverse inclinazioni, e le Fate si differenziavano tra di loro per il carattere. La quiete dell’isola di Feridia continuava cosi, giorno per giorno, in una catena di tranquillità all’apparenza indistruttibile.

Si narra di una notte tranquilla, quieta, una notte senza vento e delle Fate che, unite in uno dei loro cerchi danzavano alla luce della Luna piena, che illuminava ogni aggraziato movimento dei loro esili corpi.

Sembrava una sera come tante ed invece non lo era… ad un tratto la luce lunare venne offuscata: non era una nuvola passeggera, oppure una di quelle nuvole dal colore grigio gonfie dalla pioggia, come si potrebbe pensare, bensì il Sole, che nel suo lento incedere l’oscurò completamente, proiettandovi sopra l’ombra della terra.

Ben presto tutt’intorno fu buio… un buio spettrale… le Fate ruppero il cerchio e rimasero a guardare l’ultimo anello di luce di colore quasi arancio, che contornava il sole e la luna sovrapposti. Il silenzio regnava attorno a loro.

Fu lì, in quell’occasione, che una nuova inclinazione comparve nell’isola di Feridia. Decine di Fate, meravigliose, bellissime, nacquero in quella stessa notte. Parevano d’aspetto come tutte le sorelle e lo erano fisicamente… ma non nel cuore. A differenza delle altre Fate, loro che in quella sera erano venute al mondo erano malvagie. Niente amore né pace nei loro cuori, solo malvagità e cattiveria.

Ben presto queste, chiamate Fate Nere per i colori che le contraddistinguevano, dalle tonalità del grigio e dell’argento fino al nero corvino, crearono lo scompiglio tra le sorelle. La malvagità che le caratterizzava era tale da spaventare addirittura le altre Fate. Sembrava che in loro lo spirito benevolo fosse morto, che non esistesse null’altro che non fosse oscuro e tetro.

Fu così che anche il male fece la sua apparizione sull’isola e con esso alcuni tetri avvenimenti. Sovente si potevano scorgere nella notte ombre fuggire, e passare veloci tra la fitta vegetazione dei boschi di Feridia, occhi di ghiaccio che parevano osservare con cattiveria le Fate spaventate.

Un’oscura presenza stava tramando all’interno dell’isola, fino a quando, senza un’apparente spiegazione, accadde un giorno che una Fata morì. La sua ultima espressione era stata di terrore, così come l’avevano vista le sue sorelle un attimo prima che svanisse per sempre, i suoi occhi sbarrati nella morte avevano narrato la paura che aveva provato durante gli ultimi respiri.

Le altre Fate, sebbene terrorizzate, mai avrebbero immaginato ciò che avvenne in seguito. Molte altre persero la vita, in un ciclo ripetitivo. Con la stessa espressione, con il medesimo sguardo impaurito da qualcosa che non riusciva a scoprirsi.

Sembrava una vera e propria epidemia, il numero delle Fate diminuiva fino al punto da decimarsi. Fu allora che, di comune accordo, tutte unite partirono alla ricerca della causa della terribile morìa.

Cercarono di darsi coraggio a vicenda, di rimanere insieme, ma lungo il percorso d’esplorazione delle profondità dell’isola, quel “qualcosa” produsse lo stesso effetto su alcune di loro. Cominciarono ad urlare, ad agitarsi come se attorno ad esse figure mostruose aleggiassero nell’aria, fino a quando, dal terrore, morirono, ugualmente inorridite quanto le sorelle scomparse.

In quel momento di terrore compresero… sull’isola una forza oscura stava impossessandosi delle loro menti, illudendole di scorgere terribili visioni.

Spaventate, si consultarono. Decisero di abbandonare il luogo della loro nascita, l’isola di Feridia, quella che mai più fu ritrovata né incontrata da nessun naviglio, narrata per lo splendore da qualche marinaio errante, le cui storie vennero considerate null’altro che leggende, per dirigersi altrove, in ogni parte del mondo conosciuto, attraversando l’oceano sconfinato e giungendo fino alle terre emerse, ed incontrando le diverse razze esistenti.

Continuarono a popolare le terre e a riempire gli animi di terrore o di bontà, della loro grazia e bellezza che mai prima d’allora era stata scorta in nessun essere vivente, e mai venne scoperta in nessun altro che non fosse della razza fatata.

Fata Su monti e vallate,
fra i pruni e le fronde,
su parchi e steccate,
per fiamme, per onde,
vago ognor, più che la sfera
della luna, a vol leggiera;
per servir la reginetta,
colla guazza, fra l’erbetta,
i suoi cerchi d’orme irroro.
Scortan lei, in assise d’oro,
della primula i fiorellini;
le lor chiazze son rubini,
sono efelidi odorate,
cari doni delle fate.
Le stille di rugiada ho da cercare,
le orecchie delle primule a imperlare.
Addio, sguaiato spirito, vo via:
viene con gli elfi la regina mia

 – Shakespeare “Sogno di una notte di mezza estate” –

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